Una storia uscita a puntate nell’Eco di carta

amaranto

scritto da Antonio Lovascio, attore e scrittore teatrale

Stavo mettendo l’acqua nel pentolino, bolliva? No, non credo, anzi ne sono sicuro, non bolliva. Poi ho preso il cane e gli ho fatto fare un giro. Di terra ne ho molta in campagna ma ai cani lo spazio non basta mai, più ne hanno e più ne vogliono. Gli faccio fare un giretto ogni tanto, così giusto per uscire dai soliti schemi, se non lo faccio uscire lui se ne sta tutto il giorno accucciato a dormire. Nonostante abbia diecimila metri quadrati di terra lui sfrutta solo i due metri quadri che si trovano davanti al portone d’ingresso del casolare. Quindi ogni tanto lo prendo e lo porto in giro. Poi sono tornato e di sopra in camera da letto ho spostato alcuni indumenti che avevo lasciato sul letto, li ho messi nel secondo cassetto del comò. La candela nel salone era già accesa? Sì, quella era già accesa, l’avevo accesa prima di uscire col cane me lo ricordo, l’accendo sempre prima di andare da qualche parte, per precauzione. I ladri credono che ci sia qualcuno in casa e non entrano. E’ solo una pia illusione ma a volte serve ad uscire più tranquilli. Io l’accendo, finora i ladri non sono passati, forse perché sanno che in casa mia non c’è niente da rubare… io comunque l’accendo.

Ecco l’ho fatto di nuovo… l’ho fatto di nuovo… L’acqua nel pentolino stava già bollendo! Allora perché sono uscito col cane? Devo aver saltato qualche passaggio… Sforzati Federico cerca di ricordare cos’altro hai fatto prima di uscire… Il pentolino, il cane, la candela, gli indumenti… il pentolino, l’acqua, il cane, la candela, gli indumenti… il pentolino, l’acqua, il fuoco, il cane, la candela, gli indumenti… il pentolino, l’acqua, il fuoco… il fuoco… e poi ho mangiato, e poi ho dato da mangiare al cane, e poi sono uscito col cane… ecco!! Perché ho questi vuoti di memoria? Non ricordavo d’aver mangiato… d’aver dato da mangiare ad Artù…

Deve essere questa luce amaranto che mi fa impazzire!!! Quant’era bella la luna, la notte, le stelle… Come vorrei rivivere anche solo per una volta la notte. Tre anni di questa luce amaranto sono sufficienti per beccarsi una bella depressione. La notte… voglio la notte… anche una sola notte… L’ultima notte è stata quella del 21 dicembre 2012, poi è arrivata la luce amaranto, l’ora della meraviglia la chiamavamo… era così strana, intensa, affascinante… sembrava di aver indossato quegli occhialini tridimensionali con le lenti rosse, solo che gli occhialini li toglievi e tutto ritornava com’era , invece adesso è cambiato tutto, eppure non è cambiato un bel niente nella sostanza. Siamo ancora tutti qui. L’uomo è sempre l’uomo anche se la situazione è molto critica: non c’è più la corrente, non abbiamo l’elettricità, ogni congegno elettronico ha smesso di funzionare, persino ciò che veniva alimentato da fonti energetiche alternative come il sole. Sembra che ci sia qualcosa nell’aria che renda inutilizzabili tutte le apparecchiature… Mancano i mezzi di comunicazione e di informazione per capire cosa sta succedendo realmente. Non possiamo usare le automobili… sono lì ferme ai bordi delle strade, abbandonate, dimenticate, non servono più… Sculture immobili di un passato lontanissimo, eppure sono passati appena tre anni da quando tutto ha smesso di funzionare. E’ come essere tornati al 1700, prima di Volta, di Edison, di Tesla…

Le automobili sembrano antiche rovine greche!! La loro immobilità stride con la rivoluzione della vita sulla terra, una rivoluzione immobile però, allora lo stridore è attutito, ovattato, stride sotto voce… E’ una rivoluzione immobile, la Terra ha smesso di girare. Si parlava di un’inversione magnetica, la Terra doveva fermarsi per qualche giorno e poi ripartire nel senso di rotazione opposto, invece è rimasta ferma, mentre il Sole e Giove hanno cominciato a ruotare intorno alla Terra. Ora… io non sono uno scienziato ma in biblioteca ho trovato un libro che parla della successione di Fibonacci, si tratta di una sequenza numerica riscontrabile in molti fenomeni naturali, da questa lettura ho potuto capire solamente che sta cambiando l’ordine delle cose… per quanto ne sappiamo nessuno è in grado di prevedere le conseguenze di tale cambiamento. L’impressione dominante è che tutto sia cambiato e non sia cambiato niente. Gli esseri umani sono sempre gli esseri umani. Credevamo che sarebbe arrivata l’apocalisse. Immani sconvolgimenti avrebbero devastato il cosmo intero. Cataclismi infernali avrebbero sommerso terre e fatto emergere nuovi continenti… niente… niente… C’è solo una luce diversa, la luce amaranto.

All’improvviso abbiamo avuto due soli, Giove si è acceso come una gigantesca incredibile sfera rossa. Il giorno, quello è rimasto normale, sì normale, come prima voglio dire, la notte non c’è più, al giorno segue non più la notte ma l’ora meravigliosa. Noi adulti osservavamo il fenomeno a bocca aperta, incuriositi e spaventati. “Eccola è la fine del mondo!! Ci siamo”, qualcuno vociferava tra la folla radunata in piazza. C’ero anch’io, in Piazza del Duca, assieme a qualche migliaio di persone. Senigallia col naso per aria ad ammirare l’arrivo dell’ora meravigliosa: l’uomo del medioevo che trema di fronte ad un’eclissi di sole, potente emanazione diabolica, magia incomprensibile. Soccombere è inevitabile se il demiurgo sconosciuto e capriccioso ha deciso di giocare al gioco delle tre carte. I bambini giocavano… loro sembravano non accorgersi di nulla, l’amaranto li divertiva terribilmente. Noi adulti tremavamo di paura e loro correvano di qua e di là inseguendo le strane sfumature e le ombre che Giove disegnava sui muri, sulle strade, nei riflessi delle vetrine, dei vetri delle finestre e… Quando mi girai e vidi la Rocca Roveresca d’un rosso che pareva avvolta dalle fiamme rimasi incantato a fissarla, non più il celo ma lei, guardavo quell’imponente simbolo del passato, quella struttura espressione di forza e resistenza… E’ lì da secoli e secoli…. e su di lei non si era mai posata la luce amaranto di Giove…La percezione sta cambiando rapidamente, troppo rapidamente, tanto da creare una frattura tra il sensibile e l’intelligibile. La sensazione che si prova è quella di una sottile separazione tra l’anima e il corpo, almeno io provo questa sensazione. Ciò che finora risultava immanente si sta piano piano scollando per proseguire nella stessa direzione con due velocità leggermente diverse… Ho preso il pentolino, ho versato l’acqua nel pentolino, ho acceso il fuoco, ho preparato da mangiare, ho mangiato, ho dato da mangiare ad Artù, ho acceso la candela, ho portato Artù a fare una passeggiata, sono tornato e ho messo gli indumenti nel cassetto. Anche oggi ho completato la mia sequenza, anche oggi ho dimenticato qualcosa… ma devo continuare a scrivere, mi serve scrivere, sento che mi aiuta a tenere attivo il cervello, a combattere il sonno che mi tortura per tutto il giorno, il sonno maledetto. A volte mi capita di parlare con qualcuno, un amico, un conoscente, il mio editore e mi accorgo che mi si chiudono gli occhi. Il dottore dice che sono stanco, che forse lavoro troppo, dovrei prendermi un periodo di vacanza… non credo che sia questo. Non mi sento stanco, ho solo sempre sonno ma non di stanchezza, però ho sentito dire che in giro non sono l’unico, anche altre persone si addormentano nei momenti più impensabili della giornata, come se la narcolessia fosse un virus e si stesse diffondendo…

Osservando una scena immacolata: una madre che allatta suo figlio, una gatta che protegge la cucciolata, un uccellino sul bordo del nido che nutre i suoi piccoli dal becco spalancato, una formica in procinto di accumulare scorte… piccoli attimi… piccoli segnali di vita… c’è ancora qualcosa di assoluto, di meraviglioso per cui continuare a tenere gli occhi aperti e la mente viva. E’ ancora possibile amare, nulla è perduto per sempre, ho la speranza di essere quell’attimo di vita reale e immacolata. Posso vivere quel frangente di purezza come se fosse la mia intera vita e dire: “Ne è valsa la pena!”.

La natura ha il potere di donare, all’anima di chi sa “sentire”, sensazioni straordinarie. Senza rendercene conto il cambiamento è già in atto. Un’evoluzione istantanea, immediatamente incomprensibile. Una nuova nascita comunicata dai sensi al cervello. Sebbene i segni dell’inquietudine siano in agguato, figli sottili e penetranti del disordine, tutto si traduce nel cambiamento come in qualcosa di armonioso che presuppone un disequilibrio e un riequilibrio.

La materia che si anima nello spazio e nel tempo intercorsi tra i due stadi rappresenta l’essere e l’esserci. Io sono e continuo ad esserci. Il mutamento è qualcosa che molto spesso spaventa le nostre coscienze, non siamo mai pronti ad esso, non siamo mai totalmente aperti come vorremmo ad un nuovo sconosciuto orizzonte, così a volte capita il rifiuto, altre volte vince il richiamo atavico dell’evoluzione.

Se potessimo affrontare serenamente il problema significherebbe non essere più capaci di provare emozioni.

Il mistero è qualcosa che muove il fuoco della volontà. Nella vita di ogni singolo nostro giorno abbiamo, paradossalmente, inconsapevolmente, necessità di non sapere…

La psicanalisi moderna porta alla consapevolezza di sé stessi attraverso un percorso che scioglie i dubbi e supera le paure, anni di sedute psicanalitiche passati a parlare di sé per vivere senza paura di vivere. Il labirinto magico della nostra consapevolezza si frantuma in mille pezzi di vetro sparsi per le stanze della mente, diventa difficile ricomporre nel modo corretto la nostra mite immagine. Il percorso psicoanalitico ti conduce stanza per stanza a raccogliere i pezzi, e se durante la raccolta, nell’angolo di una stanza scorgessimo un’ombra sentita minacciosa dovremmo forse ignorarla? L’ombra va eliminata!!

Quell’ombra che tanto desideravi senza nemmeno saperlo viene ora gettata coscientemente nel fuoco del camino come un foglio di carta qualunque, un foglio bianco che non ha mai significato nulla nella tua vita, un foglio insidioso ma inutile, un foglio tra i fogli sparsi che creano disordine intorno… Occorre ordine.

Aprire tutti i cassetti di tutte le infinite stanze, ordinare l’infinità di ombre negli infiniti cassetti, richiudere i cassetti ed essere ben consapevoli che nulla si può controllare.

La grande scoperta dell’infinita ricerca è che nulla si può controllare.

Questa mattina avevo appuntamento con Matteo alle ore undici in cima al Corso Due Giugno, versante Fiume Misa. Non si è presentato, strano! Non è da lui, generalmente è puntuale. Sapeva che volevo parlargli di una cosa molto importante, spero che non gli sia successo niente di grave. E’ curioso come spesso la mente per giustificare fatti manchevoli ricorra al pessimismo cosmico… Perché mai deve essere successo qualcosa? Avrà semplicemente avuto un contrattempo e non è riuscito ad avvisarmi. Più tardi passerò a casa sua per accertarmi che non sia successo niente… ecco che ritorna!! Ma perché deve essere successo qualcosa? Passerò per parlargli.

Intanto che lo aspettavo passeggiando sono arrivato in Piazza del Duca, osservavo i bambini giocare in coro. Mi colpiva il loro modo di ridere, risate schiette… le risate più vere che si possano sentire sulla faccia della terra sono quelle dei bambini. Giocavano come se fossero in un’altra dimensione, una dimensione di verità. Non meno vera della realtà. Io li osservavo giocare con niente, il niente nelle loro mani diventava la favola della vita.

Quando si ha la fortuna di poter osservare da vicino la vita nelle sue forme più sincere non la si deve lasciare volare via. Magari la si può legare con un filo come si fa con gli aquiloni e lasciarla librare nell’aria sullo sfondo del celo. Lasciare che ora prenda questa corrente… ora quest’altra corrente… ora quest’altra ancora e ancora… ancora…

Tutto era sereno, tutto era tranquillo… io avrei scritto di questa gioia dipingendola come eterna.

Artù è accucciato qui al mio fianco, il camino acceso… è buono l’odore della legna, lo scrittoio è pieno di fogli sparsi… idee, idee… la penna, la mia Dea come la chiamo io, scorre sul foglio e ne fa un dipinto di parole.

Guardo alla finestra le fiamme riflesse nelle mie pupille, quando scrivo mi siedo sempre a quest’antica scrivania di fronte alla finestra. L’odore dei suoi anni mi aiuta a ricordare… Guardo fuori dalla finestra… sta arrivando lentamente come un monito la luce amaranto… è l’ora meravigliosa.

Meglio che mi sbrighi, voglio raggiungere Matteo, devo parlargli.

Matteo stava dormendo. Elena sua moglie mi dice che ha dormito tutto il giorno… Dunque non era venuto all’appuntamento ai Portici Ercolani perché dormiva. Una causa banale se estrapolata dal contesto generale. Ma rilevante se tutt’intorno vige uno strano, irrefrenabile, irresistibile stato di sonnolenza sociale.

Matteo ed Elena sono entrambi ingegneri edili in procinto di costruire una ricca e solida progenie di ingegneri edili… Dio ci scansi dall’ingegneria moderna!!

Già Ugo Betti se ne lamentava accoratamente. Tuttavia devo ammettere, in loro difesa, che a volte ascoltando le disquisizioni vertiginose in cui si imbattono ammiro l’etica professionale e le capacità creative di questi piccoli nuovi Wright, Le Corbusier, Piano…Io me li tengo buoni… chissà che un giorno non mi diventino delle firme affermate. Potrò vantare: “Sai? La mia casa è stata ristrutturata da Matteo Girolimetti.” “Davvero?” “Proprio così, adesso vale un sacco di soldi!” Io me li tengo buoni…Ne abbiamo passate tante io e Matteo, dai tempi dell’adolescenza all’ora meravigliosa. Quando ripenso ai mondi fantastici le cui porte varcavamo con audacia mi commuovo. Sognatori… in fondo lo siamo sempre stati. Ricordo quella volta che ci siamo trovati fermi al passaggio a livello dove c’era l’Italcementi. Esattamente dove adesso si erge un lussuoso complesso residenziale incompiuto, un enorme cantiere a cielo aperto, una Sagrada Familia senza averne la bellezza, un misto tra medioevo, Cina e stile anni settanta… anni belli quest’ultimi ma non oggi. Un’altra scultura/rovina abbandonata all’incuria del tempo come le automobili ai bordi delle strade: antiche rovine greche senza lo spirito apollineo che le renderebbe immortali.

Aspettiamo che il treno passi e l’attesa ci sembra infinita: la fantasia comincia a galoppare, si sente il rumore degli zoccoli sull’asfalto bagnato… piove, è notte, è buio, non buio come ora, c’è qualche lampione acceso. La potenza dei cavalli è al massimo, un motore turbo tirato al limite. Mi piacerebbe sentire ancora un rombo simile… Stiamo per volare, la potenza dei motori è al massimo… “Immagina…” “Cosa?” “Immagina se adesso la sbarra del passaggio a livello non si alzasse più…” “Il treno che passa diventa interminabile…” “Una vita fermi al passaggio a livello senza rendersene conto…” “Come catturati nelle maglie strette di un incubo…” “Aspetta, perché deve essere un incubo?” “E’ un miraggio idilliaco, ogni scomparto rappresenta in sé un ritratto… “Di più… un’atmosfera, una scena di vita, un sogno nel sogno…” “Ad ogni scomparto noi possiamo viaggiare per un tratto all’interno di quel vagone e vivere quelle incredibili esperienze…” “Un castello, le sale enormi affrescate, lo scintillio delle armature pronte per la battaglia. La regina ci invita al banchetto reale e…” “Nel deserto dune infinite, lenzuola di seta apparecchiate sotto il sole, all’ombra di un tendone da circo uno spettacolo imbandito per noi viaggiatori. Acqua abbondante, cibi esotici, visioni dirette magistralmente…” “Scaliamo le vette più alte della nostra fantasia e troviamo una civiltà perduta…” “Il futuro che scorre veloce come un treno e ci porta via con sé.” “E ci regala la possibilità di creare il futuro.”

Il treno è passato, è andato la dove era diretto e noi siamo rimasti ad attendere che la sbarra si alzasse, che ci consentisse di riprendere la nostra direzione.

Quante ne abbiamo fatte insieme, eravamo provetti bohemien usciti da un quadro di Toulouse Lautrec. Tutto ci sembrava una sfida, tutto incitava a sfidare qualunque cosa, tutto era possibile, tutto era poesia… maledetta poesia. I pomeriggi alla “Muta”… in campagna… alle grazie… Prima che diventasse un’osteria di tutto rispetto era il posto peggiore di Senigallia. Ci potevi trovare la gente più assurda e vivere una sana scazzottata tra ubriachi e nel tavolo a fianco un infuocato discorso filosofico sull’essenza della vita e un esistenzialista alla tua destra e un anarchico alla tua sinistra e uno sbarbatello in procinto di smaliziarsi e un tossicodipendente buttato nell’angolo… laggiù.

La “Muta” era un luogo squallido e affascinante allo stesso tempo. Credo che si chiamasse così perché uno dei proprietari era una vecchia signora muta. Mancava solo che ti servissero del vero assenzio per essere in sintonia con la folgorante, magica, Montmartre dei primi del novecento, oppure candele e torcioni per trovarsi catapultati ai tempi di Shakespeare quando insieme a Marlowe traevano spunto per le loro opere dal “riso/amaro” che passava in certi luoghi. La vita, in un certo senso, raccontata in tutte le sue sfumature dal volgo stesso… Bastava una scintilla per farne un capolavoro.

Quanti ricordi!! Quante sbornie!!! Matteo finalmente si era alzato. “Matteo, cosa dovevi fare questa mattina?” “Oh, Dio!! L’appuntamento…” “Ti ho aspettato un’ora.” “Scusa, non so cosa m’ha preso, sono letteralmente caduto in letargo.”

Che gli vuoi dire? Mica è colpa sua, la gente sprofonda nel sonno senza nemmeno rendersene conto. Passi… giustificato… Elena ci prepara un infuso ai frutti di bosco, buonissimo. Ero andato lì per parlare con Matteo, ho chiesto anche ad Elena di restare ad ascoltare. Mi guardano e attendono le mie parole con curiosità, mi vedevano un po’ teso e non capivano il perché di questo mio stato d’animo. A dire la verità neanche io lo comprendevo bene… incontrollato… una reazione spontanea a non so cosa… l’inquietudine mi aveva assalito per interi giorni… qualcosa nel mio passato… Non si trattava di un trauma o di un fattaccio, ne ero sicuro, ma c’era qualcosa di arcano che mi turbava.

“Parla ti prego” dice Elena. “D’accordo comincio… si tratta di un sogno.” Matteo mi chiede che cosa ci sia di tanto inquietante in un sogno. Lo so!! I sogni sono in qualche modo degli scarti, piccoli pezzetti di vita che non hanno alcuna importanza, ripescati, rimescolati e pronti per essere la manifestazione occulta di un desiderio. Questo mio sogno era invece un “Non sogno”. Non saprei come altro definirlo. I miei due spettatori erano protesi verso di me… chiedevano spiegazioni. Come potevo spiegare un fenomeno che non può avere una spiegazione logica?

Ho cercato di arrampicarmi, di aggrapparmi ad ogni capacità dialettica in mio possesso per essere il più chiaro possibile. Gli ho spiegato che il mio “Non sogno” era cominciato come una sorta di visione ad occhi aperti, non stavo dormendo o perlomeno non me ne rendevo conto. Un’allucinazione? No, non era un’allucinazione, era più come vivere virtualmente il passato, in modo chiaro, netto, reale.

Forse dormivo e credevo di essere sveglio, sognavo di esserlo, è possibile ma era troppo reale e poi quando ci si sveglia da un sogno ci si sveglia e basta, ci si rende conto di aver dormito. Il ricordo di ciò che hai sognato è chiaramente un sogno. Quando ti svegli il sogno finisce… io invece è come se non mi fossi mai svegliato! “Che vuoi dire?” chiede Matteo. Notavo un certo turbamento nel suo sguardo, incuriosito dalla mia descrizione sembrava altrettanto turbato per sé stesso. “Spiegati meglio…” continua. Forse anche lui aveva vissuto un’esperienza simile?

Lì per lì non gli ho chiesto nulla, volevo osservare la sua reazione al procedere del mio racconto. Premesso che avrebbero sentito un racconto in apparenza sembiante un semplice sogno ho cominciato: “Nella sfera infuocata del sole ha camminato un uomo, dapprima era molto lontano, laggiù all’orizzonte.

Talmente lontano che di lui l’unica cosa che si riusciva a scorgere era l’ombra riflessa al suolo, un’ombra che si allungava per chilometri e chilometri. Un bambino che giocava con la foglia di una palma usava quell’ombra per separare il mare dalla terra rossa.

Il bambino navigava a bordo della sua foglia ammirando il cielo: un blu profondo, pieno di forme straordinarie, di angeli e di luce. Il bambino voleva toccare tutta quella meraviglia e si lasciava accarezzare dalle onde sottomarine. Il cielo e il mare si tuffavano nella terra uniti nella danza della vita. Il bambino sorrideva ad ogni gioco che le acque gli mostravano e lo invitavano a danzare con la terra rossa.

L’ombra dell’uomo diventava sempre più grande e mangiava sempre di più lo spazio al mare e alla terra. Il bambino che non s’accorgeva del cambiamento continuava felice nel suo viaggio facendo domande al mare e alla terra: ”Quanti pesci abitano dentro di te?” ”Tutti i pesci che vuoi vedere!” risponde il mare. “Allora i pesci che hai dipendono da me?” “Non dipendono da te, ma quello che vuoi vedere è quello che vedrai dentro di me!”. Allora il bambino si rivolge alla terra e gli chiede: “Posso camminare fino a raggiungere il sole?” e la terra risponde:”Certo che puoi camminare. Ad un certo punto, però, dovrai fare una scelta!” “Quale scelta?” chiede ingenuamente il bambino “Dovrai scegliere se continuare a camminare o cominciare a volare!”.

L’ombra dell’uomo era ormai diventata tanto grande da non lasciare quasi più spazio alla terra e al mare ma il bambino continuava tranquillo a giocare, a fare domande ai suoi due amici “ Perché le tue acque sono salate?” chiede al mare “perché ogni volta che qualcuno piange le sue lacrime finiscono per venire da me.”

Il bambino non riusciva a capire, così rivolgendosi alla terra: “ Ma se tutte le lacrime finiscono nel mare tu non sei gelosa? Non ne vorresti un po’ anche tu?” “No, che non le vorrei, non le voglio perché non mi servono”. Il bambino non capiva, il mare comprensivo gli spiega:” Vedi, tu devi pensare che il cielo, il mare e la terra sono la stessa cosa, ecco perché la terra non ha bisogno delle lacrime” il bambino sorride, beve un po’ di acqua del mare e si accorge che non è salata, che è buona, è dolce, allora stupito si rivolge al mare:” La tua acqua si può bere, non è salata!”, “Non lo è perché ora anche tu cominci a capire!”

“Come, che significa?” chiede il bambino. “Non vedi, bambino mio, che l’ombra è diventata tanto grande da coprire sia me che la terra?” “Quale ombra?”

“Quella che usavi per dividere il mare dalla terra… prima… quando stavi giocando! Ti ricordi di quell’ombra?” “Sì, ma ora dov’è?” “Non la vedi più perché è ovunque! Finalmente sei cresciuto, quell’ombra sei tu, non sei più un uomo lontano ma un bambino cresciuto. Sei felice?” il bambino serenamente risponde:” Sì, mi sento bene!” la terra soffia sul volto del bambino un granello di sabbia rossa, il bambino strofina gli occhi e una piccola lacrima scende lungo la guancia “Ecco…” dicono il mare e la terra “Ecco… ora hai scelto di volare, hai scelto di sentire dentro di te, nella parte più profonda di te stesso, che vuoi vivere. Ora se vuoi continuare a giocare insieme a noi devi continuare a guardarci dentro, a perderti nelle nostre infinite sfumature e viaggiare finché anche tu tornerai ad essere parte di un unico essere vivente. Solo un’altra cosa prima di andare, ricordati che ibambini non distinguono la diversità, sono i non vedenti dell’uguaglianza; i bambini non amano il denaro, sono i poveri della felicità; i bambini non sanno cos’è il potere, vogliono solo poter sapere; i bambini non hanno paura di sé stessi, si sentono poesia; I bambini non uccidono la speranza, sono ricchi di fiducia. I bambini amano la vita.”

Terminato il racconto Matteo stava tremando, io ed Elena gli abbiamo chiesto se stesse male, era esterefatto, ci ha spiegato d’aver capito solo in quel preciso istante d’aver vissuto la mia stessa esperienza, proprio durante la giornata appena passata a dormire, a credere di dormire, adesso quello curioso ero diventato io “Vuoi dire che anche tu…” “Sì, ho fatto un sogno molto simile al tuo, mi sembra di continuare a viverlo, è come se avessi l’ansia di viverlo ancora” gli ho chiesto di raccontarmelo subito e lui ha cominciato a singhiozzare parole: “Quella mattina mi sono svegliato, l’aria era uguale a tutte le altre mattine, anzi no! Non era uguale però la puzza del mio cassonetto era uguale a sempre, ero un barbone….

Quella mattina c’era qualcosa di strano nell’aria. Sì, l’aria era un po’ più fredda del solito ma la gente sembrava normale. Tutti camminavano avanti e indietro per la strada. Le solite macchine al semaforo, c’era un sacco di gente, la solita gente. Io la osservavo la gente, era il mio lavoro da quando vivevo nel cassonetto. Era un bel cassonetto il mio, verde marcio come quelli che c’erano anni fa, con un bell’adesivo comunale stampato sul fronte, all’entrata.

Quella mattina c’era la solita gente ma era strano perché non mi sembrava la solita gente e non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse di diverso dalle altre mattine.

C’erano proprio tutti, l’aria era un po’ più fredda ma c’erano tutti.

C’era la signora del bar che puliva il bancone; c’era la commessa del negozio; c’era il tipo coi baffoni della pizzeria; c’erano gli impiegati negli uffici, cento metri più avanti; c’era pure il vigile al semaforo principale.

Come al solito era arrivato il camioncino che rifornisce di lievito la panetteria. Gli spazzini erano già passati alle prime luci dell’alba. Eppure qualcosa mancava, qualcosa di strano c’era!

Ecco che arrivava anche il vecchietto con quel cane buffissimo che gli assomiglia tanto, piccolo, brutto e nero.

Quello mi faceva incazzare come una bestia perché tutte le mattine, puntualmente, il cane pisciava sul mio cassonetto.

Un giorno gli avevo pure urlato:” Eih, che modi sono questi, ti piacerebbe se qualcuno facesse pisciare il suo cane, ogni santo giorno, a casa tua?”. Quello mi risponde:” Trovati un lavoro pezzente!”.

Dove sono finiti i dolci nonnetti affettuosi di un tempo mi chiedo. La vecchiaia dovrebbe   restituire più saggezza…

Voglio vedere se tratta così anche il suo nipotino… il suo nipotino!!

I bambini… i bambini!

Ecco cosa mancava. I bambini… dove sono i bambini?

Di solito l’asilo a quell’ora era pieno di bambini che urlavano, giocavano, schiamazzavano… dov’erano?

Quella mattina c’era un silenzio bestiale, non era neanche passato il solito pulmino giallo, perché?

E il figlio della sarta qui a fianco che piangeva tutte le mattine dov’era?

Di solito la carrozzina era vicino alla porta.

Dove erano finiti tutti i bambini?”.

A quel punto io Matteo ed Elena ci siamo guardati negli occhi, avevamo i brividi.

I nostri sogni non possono essere casuali, non può trattarsi di una coincidenza, cosa ci sta capitando? Perché questi sogni? Cosa vogliono dire?

Sogni… tutti sogniamo ma tutti sognano cosa? La chiave dei sontuosi cancelli alati risiede nel sogno di Efebo. Il ritorno dall’eco!!! Un’ eco sorda, lontano, lontanissimo che si confonde con i vaneggiamenti. La comunicazione non è più canone, è il disfarsi stesso delle convenienze e della cancrena secolare dei sogni di Enea.

Comunichiamo senza che ciò avvenga realmente cadendo così nell’insicurezza e nel sentore acerbo di un rinnovamento atteso dal giudizio.

Il mio sogno coincideva con quello di Matteo, entrambi coincidevano con quello di Elena e tutti i sogni di Senigallia riconducevano ad un unico risultato: nostalgia… dolce nostalgia del passato, di un tempo perfetto in cui ogni rumore discorde giaceva sul fondo senza armonia e lì vi restava fino al passaggio più prossimo, ad un altro stadio evolutivo, fino ad una più matura percezione sinfonica.

Il tutto nell’uno e l’uno nel tutto… assenza di gravità, tumorale massa da asporto… pagare al ritiro, soddisfatti o rimborsati…Devo capire, devo sapere, perché non è più possibile capirsi? Dove conducono i lunghi rivoli di tante menti confuse? Ti chiedo ancora un po’ di pazienza ma tu non me ne porti!!

Dobbiamo assestare il senno o infrangere anche le ultime barriere corrose dalla salsedine di questo mare ,basso e curioso ma pericoloso se arenandosi infuria la tempesta!

Dolce bambino e assassino allo stesso tempo… Occorre pace… pace…pace.

Ho saputo che c’è una stanza dove alberga la verità. C’è una vecchia donna che dispensa luce in questa stanza. Devo chiederle perché! Devo trovarla… faccio sempre più fatica a respirare pensieri e ad emettere suoni che non siano il fiato di un uomo la cui bocca è chiusa da secoli.

Questa stanza si trova appena vicino al Sacro Militare Ordine di Malta. C’è un ristorante lì vicino, ne ho già parlato… il suo cambiamento ha portato ad un mistero più profondo ma tutto cambia e noi non ce ne accorgiamo finché la realtà non coincide con i nostri propositi. Suonando ad un piccolo campanello un uomo mi aprirà la porta, devo chiedere di lei, salire nella stanza e sapere finalmente ciò che sta cambiando!! Lei saprà dirmi…

Sto vagando per Senigallia, mi guardo intorno… un’aspirale che risucchia tutti. La forza di Scilla e Cariddi ci trascina giù per sempre nel fondo dell’inferno di quest’ora amaranto. Una faccia amica non più riconosciuta… un volto istrionico, giullaresco… Gargantuà regna ormai sovrano. Vaneggio… vaneggio anch’io… è tutto un vaneggiare! Ombre vaghe vaneggiano giù alla spiaggia dei folli. C’è però una strana felicità che aleggia nell’antro di questa caverna, sembriamo tutti lieti di essere qualcos’altro. Qualcos’altro che ci somiglia tanto, tanto, tanto…La gente che incontro per la strada è bambina, non so se ridere o piangere… sembra che non ci siano più adulti ai quali chiedere indicazioni. Un appiglio saggio e maturo al quale rivolgere le nostre paure è svanito. Stiamo impazzendo o stiamo tornando indietro? Forse andremo avanti per sempre! Ecco Alessandro, vecchio amico d’infanzia, i suoi occhi sono ingenui più che mai… Alice che abitava vicino a me, quando vivevo con i miei genitori, gioca con altre bambine… i negozi sono abbandonati, gli uffici sono senza senso, la strada è un parco giochi. Tutto è gioco. Qualcuno ancora si dispera confuso, non capisce, a tratti chiede aiuto ma non serve perché nessuno può spiegare! La luce amaranto fa da cornice a questa mutazione pantagruelica… carnascialesco senso dell’ironia. Che sberleffo il mondo adesso!!! Io ci sono e non ci sono… ragiono e poi non ricordo più cosa stavo facendo o pensando un minuto fa. Dove sono Matteo ed Elena? Sì, li avevo lasciati a casa… saranno a lavoro… no, non c’è più lavoro… io, io devo arrivare dalla vecchia signora… ci metterò un po’! Io devo arrivare da lei, io, io sono… lento sono… io credo che … lei … mi aspetti. Artù è a casa… gli ho dato da mangiare? Non ricordo. Costeggio il fiume Misa in direzione dell’Ospedale… che cosa succede? Camici bianchi che si rincorrono per lo stetoscopio… e quelli che stanno male? Abbandonati alla propria infanzia infelice! Giacomelli ne avrebbe fatto un bel ritratto. I medici sono come tutti gli altri… persi nel gioco… inconsapevoli della propria precedente dimensione, ridotti a figurine da scambiare. Una vale l’altra e il più prepotente se le prende tutte.Salgo la via che passa dietro l’Ospedale, via Camposanto vecchio, se riesco ad arrivare alle Grazie prima di svanire saprò… Che fine faranno tutte le mie cose? Rimarranno mie? E io lo capirò? Come vivremo? Come andremo avanti? Chi si occuperà di noi? Scendo la strada del Rosciolo e corro, mi viene una voglia irrefrenabile di correre e gridare, urlo liberatorio di anni di fatica interminabile… senso di libertà, finalmente!! Dove… ecco, deve essere qui! Questo è il ristorante Osteria d’Adamo, la porta è chiusa. Faccio il giro del casolare, sento delle voci… “Scusate sapete dirmi dove posso trovare la vecchia signora?” “E’ di sopra” “potete farmi entrare?” “Stiamo giocando… vai… entra da quella porta e sali le scale, lei è di sopra”. Scalino dopo scalino non sento più il peso del mio corpo, mi sembra di essere leggero come una piuma, un sorriso di serenità mi accarezza il volto e spero di trovare conforto. Spingo la vecchia porticina di legno… lei è lì, seduta sulla sedia… proprio come mi avevano detto, è seduta tra il camino e la finestra. “Vieni avanti bambino mio!” timidamente mi avvicino a lei, con le sue mani calde e ruvide mi stringe le guance, mi accovaccio ai suoi piedi e la guardo in silenzio aspettando che mi dica… “Chi ti ha mandato qui da me?” gli rispondo che non ricordo, sono quelle voci che circolano nell’aria e tu ogni tanto ne afferri una e te la porti dietro per un po’, la racconti a qualcuno e quel qualcuno a qualcuno e le cose si vengono a sapere così. “Non importa, le leggende sono compagne di piccole verità. L’importante è che sei qui ora.” “Mi stavi aspettando?” “Certo bambino mio. Aspetto sempre l’anima di chi parla agli altri.” “Cosa sta succedendo? Io ho paura!” “E’ naturale piccolo mio che tu abbia paura. Ma stai tranquillo tutto sarà più bello, non fare ancora resistenza, lasciati andare, le cose le devi sentire con la pancia e non con la testa.” sono confuso “Che vuol dire?”. Mi porta a vedere un libro… in una stanzetta adiacente al cucinino c’è una piccola libreria. Apre lo sportello e prende un libro, la copertina è fatta di cuoio e sopra vi è inciso un simbolo… un piccolo tondo con delle lettere intorno. C’è scritto “Animae Artis”. Sembra molto antico, la vecchia signora mi fa sedere per terra, apre il libro e legge un breve passo “Quando la nuova luce porterà via con sé ogni inganno e turbamento il risveglio delle creature sarà lieto e accompagnato da canti gioiosi all’alba della vita.” mi guarda intensamente negli occhi e mi spiega che non c’è nulla da temere, una miriade di stelle colorate infrangeranno le barriere dei secoli bui e ci guideranno e ci nutriranno e ci insegneranno nuovamente a brillare. “Devi andare lì dove Animae Artis è stata creata.” “Cos’è Animae Artis?” “E’ una casa bambino mio ma è anche molto di più!” “Una casa signora e devo andare in quella casa?” “Troverai altri come te. Dovete completare il libro, c’è una storia da viaggiare.” “ Troverò altre persone?” “Quando uscirai da qui segui la strada a sinistra, in direzione Scapezzano, ad un certo punto vedrai la Chiesetta della Madonnina della Mora volta a destra e pochi passi dopo troverai Animae Artis, fa attenzione il suo nome è scolpito nei suoi mattoni, nei suoi angoli, nella sua intera forma… pietre che cantano, ti parlerà vedrai… ti chiederà di entrare e lì scoprirai il mondo che volevi.” “Dentro di lei cosa c’è?” “Non domandarlo a me domandalo a lei quando riuscirai a vederla, se saprai lasciarti andare lei si mostrerà e ti guiderà… gioca con le parole, le parole del mondo, le parole della vita e i suoni delle nuvole riempiranno la sostanza che ci porta segreti… Ti verranno svelate bellezza e passione, saranno tue complici. Insieme agli altri cercherete il modo di esprimere Anime Artis, il suo significato è stato per troppo tempo imprigionato tra le sue mura, è ora di farlo volare e di avvolgere tutti con la sua pienezza. Cerca la casa e troverai le risposte che vuoi. Trova Animae Artis e troverai un mondo.”

Una carezza dolce, materna, mi invita ad incamminarmi, gli alberi sussurrano strane verità, parlano forse di futuro… le erbe accompagnano il mio passo verso la verità… nell’aria scorre un’insolita elettricità emozionale, emotivamente presente induco il pensiero all’incontro con una nuova realtà. Tutto m’appare dipinto neoclassico di bellezza e un livido stupore sfuma i contorni. Tutto è sostanza liquida nelle vene, tutto è incerta consapevolezza di essere assenti e rinnovati nell’anima. La Madonnina della Mora sbuca lentamente dal dosso che la nascondeva alla mia vista e lentamente si completa l’immagine della chiesetta. Svolto a destra dove mi ha indicato la vecchia signora e cerco di vedere, cerco… cerco di… deve essere quella la casa!! Mi avvicino, ho un po’ di paura lo confesso, l’emozione sale a quaranta!

E’ una vecchia casa… cosa devo cercare? Forse non è lei? La osservo attentamente… è solo una vecchia casa!! Mi avvicino di più, di più, di più… tocco le vecchie mura che nascondono i mattoni accuratamente posti l’uno sull’altro ad incastro e l’uno non può fare a meno dell’altro e dell’altro ancora… sono legati dal destino che li ha chiamati a reggere le mura di un’anima… il calore di un tempo lontano piano, piano passa attraverso i mattoni alle mie dita e s’impossessa delle mani, delle braccia, del collo… la testa… tutto il mio corpo è invaso da una sensazione di calore e benessere, serenità mi appaga, fiducia e curiosità, tanta curiosità… E’ straordinaria la velocità e la nitidezza con cui le immagini più svariate attraversano la mia mente, sento come se possedessi ogni tipo di capacità immaginativa che fluisce spontaneamente all’infinito… posso essere ovunque… posso essere qualunque cosa… posso fare qualunque cosa… è meraviglioso… un’eco arriva, m’investe di sapienza “Guarda!!” mi dice “Osserva attentamente, ora ascolta, senti!” stupito alzo gli occhi, guardo la casa “Leggi ciò che porto con me da sempre… comprendi il messaggio!” la leggo, sto leggendo le sue mura, la sua costruzione che parla e cominciano a delinearsi immagini e lettere come un rebus, si illuminano a intermittenza come un cuore caldo che batte… finalmente è Animae Artis… si è mostrata, mi ha voluto con sé, era tutto vero… tutto assolutamente vero e possibile… il suo cuore si apre proprio in corrispondenza delle due A…

non ho più alcun timore ma solo passione… entro…Fine

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