la quarta dimensione di Attilio Pierelli
“Ipercubo” di Attilio Pierelli

Oggi, 11 febbraio 2016, nei suggestivi spazi di Villa Graziani di Celalba, nel comune di San Giustino (Pg), si tiene l’inaugurazione ufficiale della Collezione permanente delle opere di Attilio Pierelli, importante artista marchigiano.

Attilio Pierelli (1924-2013) inizia l’attività artistica negli anni Cinquanta con delle sculture speculari, nelle quali studia la relatività e la scienza in generale. Tra le sue opere più importanti ci sono: “l’Ipercubo”, opera che rappresenta un vero e proprio filone di ricerca, la scultura in argento “T.E.S.T.” (Trascinamento di Eventi Spazio Temporali) divenuta “L’Oscar” del Marcel Grossman Meeting, che ogni tre anni viene assegnato al miglior lavoro elaborato in Astrofisica, “Nodi”, opere in cui riflette sulla teoria degli universi.

L’avevamo incontrato e intervistato qualche anno prima, in occasione dell’antologica “Iperspazio” presso l’aeroporto di Falconara (articolo pubblicato nel mensile cartaceo “l’Eco”)

L’aeroporto “Raffaello Sanzio” di Ancona-Falconara, presso il terminal arrivi, dal 31 marzo al 30 aprile ospita l’antologica “Iperspazio” di Attilio Pierelli. Undici sculture dell’artista nato a Sasso di Serra San Quirico (An) nel 1924 e presto diventato uno dei nomi principali della scena nazionale e mondiale. Al centro del suo indagare c’è l’Iperspazio, nelle sue opere studia la relatività e la scienza, particolarmente il concetto di spazio in relazione al cosmo, ottenendo risultati plastici importanti sulla sua visualizzazione relativa alla quarta dimensione geometrica, alle geometrie curve (non euclidee) e nelle più avanzate conoscenze topologiche delle superfici estremali.

“Noi non percepiamo correntemente l’Iperspazio – come noi non percepiamo alcune entità fisiche esistenti – ma pensiamo pensarlo, ipotizzarlo con una quasi certezza e quindi realizzarlo, replicarlo ed in seguito addirittura concretamente percepirlo. Possiamo pensare e realizzare – Pierelli lo fa lucidando meticolosamente gli acciai e piegandoli geometricamente ottenendone concavità e convessità in grado di riflettere le metamorfosi suggestive delle cose, in grado di metterci illusivamente in contatto con il divenire della nostra dimensione e della sua motivazione speculare – l’infinità e la molteplicità dello spazio e del tempo. Pure – nonostante ciò – questo nostro mondo rimane per noi essenzialmente ancora puro fenomeno, cioè apparenza inconoscibile nella propria verità”, scrive Gabriele Tinti, autore del testo critico della mostra. L’esposizione, patrocinata dalla Regione Marche, dalla Provincia e dal Comune di Ancona, è curata d’Artessenza di Ancona. Attilio Pierelli, un artista molto importante, ma anche uomo di una gentilezza, di un’ironia, di una poesia rare.

Definizione del concetto di Arte?

“Quella parte della conoscenza dell’umanità che riguarda il futuro, esiste una tendenza caratterizzata da cause agenti nel futuro. Tutte le immagini producono un continuo mutamento nella loro forma. C’è una parte entropica – ed è la meno interessante – è la degenerazione della vita, la morte, la malattia, il degrado. Ad un certo punto, tutto questo informale, l’entropia, cominciava a darmi fastidio. Pensavo che non fosse tutto così, che c’era la bellezza della vita, la creatività, la natura che già di per sé crea, la primavera e poi, per ultimo c’è l’entropia. Così mi avvicinai ad un’altra tendenza, all’altro aspetto: sintropia. Il contrario, lo sviluppo, la nascita, il piacere di far cose buone, vivere bene, allegramente, senza pensare. Ho passato una vita meravigliosa, ora mi riposerò. L’arte dunque, è sempre stata la maniera per intraprendere questo viaggio sintropico”

Effettivamente il suo lavoro appare fiducioso, positivo. Le sue opere si basano sui limiti della conoscenza, sul sogno di poter essere qualcosa d’altro. C’è, al contrario, tutto un altro tipo di arte che viene rappresentato, ad esempio, in Burri. L’ha conosciuto, cosa ci può dire?

“Noi nella nostra generosità ad Alberto Burri glielo facciamo fare… Burri era un uomo duro ma ha fatto tutto in buona fede. Le sue tele furono inevitabilmente interpretate come metafore di carname e decadenza. Ci scherzavo, anche con la moglie che veniva a danzare nel mio studio a Roma – aveva delle manine così magroline – e le dicevo che ero un grande antagonista di suo marito”

Tornando alla sintropia, la tendenza all’evoluzione verso stati di maggiore organizzazione. Come è arrivato a dare questo significato alla sua arte?

“Vidi su un banchetto di libri usati “Tempo, Spazio e Universo” di un autore di origine siciliana, Giuseppe Arcidiacono, scomparso nel 1998, è stato uno dei più geniali studiosi italiani di Fisica Matematica del secondo dopoguerra. E pensai, chissà se questo signore fosse a Roma, ci vorrei parlare, e lo cercai sull’ elenco telefonico. Lo trovai, gli chiesi umilmente un colloquio. Mi invitò nella sua casa e ci andai, accompagnato da mia moglie. Gli dissi, sto facendo queste esperienze sulle forme e non ne capisco fino in fondo il significato. Mi fece una lezione che quando uscii, barcollavo. Vide le mie opere e mi disse: lei sta lavorando sulla geometria euclidea, la geometria curva, il preludio all’Iperspazio. Poi diventammo talmente amici che facemmo anche conferenze assieme. Con lui mi feci una cultura. Apparteneva al Centro di comparazione e sintesi dove ci passavano i più grandi ingegni del mondo. Tutto lo scibile passava di lì. Mi procurai dei libri e cominciai a studiare. Tutti i giorni, per 10 anni, per almeno tre ore, sul legame tra la realtà e la sua immagine. Ciò che noi vediamo non è che una semplice immagine deformata di una realtà assai più complessa, inimmaginabile, perché richiede la geometria degli iperspazi”

E’ vero che ha ispirato “la teoria delle catastrofi” di Renè Thom?

“Un giorno si presentò nel mio studio di Roma, uno studioso di Matematica che mi portò un disegno e da quello dovevo partire per creare una scultura da far vedere a Renè Thom che sarebbe arrivato a Roma. Non sapevo nemmeno chi fosse, ma mi misi al lavoro, feci una scultura creando l’acciaio alla mia maniera particolare, con concavità e convessità. Secondo la teoria di Thom, applicata anche ai miei lavori, qualsiasi forma deve la sua origine ad un conflitto. Nata come tentativo di spiegazione delle forme naturali, della loro permanenza, della loro genesi e dei conflitti che ne sono all’origine”

Lei nacque nel 1924 a Sasso di Serra San Quirico, a dieci anni si trasferì a Roma. Se fosse rimasto nelle Marche, avrebbe avuto la stessa possibilità di emergere come artista?

“Amo le Marche, credo si respiri molta cultura, ma se non mi fossi trasferito a Roma non avrei avuto le stesse possibilità. Non avrei potuto fare molto. Discendo da una famiglia di artigiani e di contadini, avrei proseguito la loro strada. Nella grande città ebbi la fortuita possibilità di trovare un lavoro che mi facesse guadagnare a sufficienza per vivere. Facevo l’odontotecnico e una volta che riuscì, con i guadagni, a sistemare tutta la famiglia, cominciai a scolpire, prima la pietra…”

Letizia Stortini

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