musica leggera

 

Daniele Garbuglia (nato a Recanati, ma vive a Senigallia) aveva già dato prova nel suo precedente romanzo Home di essere un narratore di storie raffinato e onesto. Il suo stile è terso e così poco loquace che la storia sembra arrivarci senza parole, suscitata in noi da un tocco gentile e pudico che sa come nascondersi, per non essere invasivo nei confronti del racconto; quasi una scrittura del silenzio, che nasce dal silenzio che ne precede la gestazione e, in un certo senso, ci racconta un tipo di silenzio: il silenzio dell’assenza. Il protagonista di Musica leggera (ed. Casagrande) è un ragazzo del quale non sapremo mai il nome, che vive in una piccola provincia della quale non sapremo mai il nome, che lavora come apprendista in una piccola falegnameria, e che deve fare i conti con l’improvvisa morte del padre a seguito di un incidente automobilistico, il cui responsabile non si è denunciato e gira a piede libero per il paese. Ma gli elementi del giallo – seppure presenti – interessano poco l’autore, più invischiato invece nelle texture dell’anima, in quell’alternanza di pieni e vuoti, di ricordi e di attese, che contraddistinguono l’esistenza di un normale ragazzo di provincia qui alle prese con l’elaborazione di un lutto. Nelle sue implicazioni più profonde, tutt’altro che una “musica leggera”, eppure la partitura di un certo tipo di storie dolorose e quotidiane è, in parte, una melodia popolare che fa parte della nostra tradizione. E non solo, è un’andatura, un modo di esistere e di pensare alla vita. Alfredo Ronci, scrittore e recensore dell’informatica rivista letteraria Il paradiso degli orchi, definisce senza mezzi termini questo romanzo un capolavoro. Io penso a William S. Buroughs, scrittore e teorizzatore di tecniche narrative, quando scrisse che “lo scrittore autentico è quello che giunge a definire un universo di segni che perviene a un’assoluta non discorsività”. In un’epoca caustica e caotica in cui le molte parole girano a vuoto, salutiamo con ammirazione l’avvento di chi è capace di raccontare a bassa voce, senza fretta, molto silenziosamente.

                                                                                                                                       

Enrico Carli

 

 

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