Quando controllori e controllati non superano l’esame del terremoto

 

di Leonardo Badioli

Non forse “la mafia”, se questa è definita dal vocabolario come una “organizzazione criminale suddivisa in più associazioni (cosche o famiglie), rette dalla legge dell’omertà e della segretezza, che esercitano il controllo di attività economiche illecite e del sottogoverno”, ma certo qualcosa di simile. Sono forme di complicità che emergono ogni volta che ci troviamo di fronte agli effetti di una catastrofe naturale.

Una visita appena attenta all’impianto urbano di molte località devastate dal terremoto – abbiamo sott’occhio l’esempio di Tolentino (articolo pubblicato il – non risolve il problema delle cause seconde dei danni agli edifici: è la diversa risposta dei terreni al sisma o una cattiva esecuzione dell’opera edilizia?

Gli effetti del terremoto si sono distribuiti in modo ineguale, questo si vede: rovinato tutto quello che c’è in via Vittorio Veneto e lasciato intatti altri posti della città; ma anche all’interno delle diverse microzone emergono diversità tra un palazzo e l’altro che fanno pensare a una diversa qualità della costruzione. Quelle più deboli si lesionano più facilmente.

Sono cose che nessuno ignora tranne quelli che dovrebbero sapere. Non forse la mafia, ma un costume diffuso e consolidato che consente a chi esegue i lavori di non rispettare i capitolati con la certezza che i controlli non indagheranno più di tanto perché addomesticati. Massime se si tratta di opere a commessa pubblica. Poi ci pensa il terremoto a indagare e a scoprire gli altarini: vedere per esempio quel palazzone – sempre a Tolentino – che, rimesso a posto (per la sola estetica!) con finanziamenti pubblici dopo il terremoto del 1997, è rovinato di nuovo.

Da questa situazione consegue che, guardando in avanti, le persone più avvertite temono che la ricostruzione venga fatta in modo da eludere i controlli sui principali passaggi della riedificazione. Il problema non sta tanto nella fase progettuale (nessuno progetta qualcosa che non sia a norma), ma nella fase esecutiva. Saranno d’accordo con noi le buone imprese che eseguono scrupolosamente il loro lavoro; perché siamo dell’opinione che il collaudo andrebbe fatto in corso d’opera, soprattutto rispetto a quegli elementi (le fondazioni, le strutture verticali) che non sarebbero più ispezionabili successivamente alla posa. Si tratta di questione definita nel nuovo Codice dei contratti e del regolamento di attuazione approvato dal Consiglio dei Ministri su legge delega n. 11/2016. Per esso (art. 150): soltanto per i lavori relativi ai beni culturali è obbligatorio il collaudo in corso d’opera.

Non è dunque obbligatorio, ma nemmeno vietato, in relazione alle infrastrutture e all’edilizia abitativa. In attesa che venga reso obbligatorio per legge, un controllo effettuato nelle fasi più delicate della costruzione, magari certificato ISO 9000, sarebbe una garanzia capace di orientare con decisione il mercato verso costruzioni veramente solide e ben fatte. In questo senso ha funzionato bene la classificazione energetica degli edifici, guidando il mercato verso la classe A. C’è oggi un nuovo decreto sulla certificazione del rischio sismico delle costruzioni: questa certificazione dà una detrazione fiscale uguale a quella energetica.

Ora ci scuserà chi legge se parlando di ricostruzione abbiamo cominciato dalla fine. In effetti le norme antisismiche vengono aggiornate di frequente in relazione alle conoscenze geologiche del rischio sismico, ma anche a quelle riguardanti le tecniche costruttive. Per esempio quella degli Isolatori Sismici: costano un 30% in più della struttura rigida in cemento armato, ma sul costo finale gravano solo per un 10%. Il vantaggio economico è nei termini della durevolezza. Gli isolatori sono elastomerici, a scorrimento, a rotolamento. In Cina ormai costruiscono così. Sono sistemi che si possono applicare anche all’esistente.

 

quando controllori e controllati non superano l'esame del terremoto

 

One thought on “Troppe falle nella ricostruzione

  1. Non si tratta di mettere un “mi piace”, perchè il tema è troppo importante e di per sé comporta una estensione di problematiche. In questo articolo tutto è stato esposto con competenza e con indicazioni chiare circa il dover fare e il poter fare. Forse il problema sta proprio tra potere e fare.

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