UNA VITA DI APPLAUSI E DI TORMENTI PER LA DIVA

 

Una vita di applausi e di tormenti per la diva Angelica Catalani
Angelica Catalani a 26 anni ritratta da L.E. Vigée Le Brun

 

Le rappresentazioni teatrali nelle loro varie forme sono state per tutto il ’700, ’800 ed inizi del ’900 quello che successivamente avrebbero chiamato “spettacoli di massa”, intrattenimenti cioè per il grande pubblico. Il ruolo del teatro musicale nell’acculturamento collettivo è documentato dai racconti che da bambini sentivamo dai nostri nonni che, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, accorrevano in massa agli spettacoli lirici portati anche nella nostra città dal “Carro di Tespi”, essendo il nostro teatro La Fenice un rudere.

Tespi, considerato l’inventore della tragedia greca, nel VI secolo a. C. con una compagnia di girovaghi si trasferiva da un centro all’altro dell’Attica su un carro, che poi veniva usato come palcoscenico. I “Carri di Tespi” furono istituiti in Italia negli anni 1930 dal Ministero della Cultura Popolare per portare in tournée nei centri minori spettacoli teatrali di qualità e a prezzi accessibili a tutti. L’iniziativa si estese anche al melodramma con frequentatissimi spettacoli di tutto rispetto. E come è vero che tanti popolani toscani conoscevano a memoria lunghi brani della Divina Commedia, è esperienza di molti di noi che i nostri nonni erano in grado di canticchiare tante arie del repertorio lirico.

È facilmente comprensibile come il teatro, sia come attività sia come edificio, fosse divenuto un bene percepito come appartenente alla comunità soprattutto nell’800, quando non era più limitato alla frequentazione di una élite culturale e sociale, ma era divenuto sede di intrattenimento anche per le classi della media e piccola borghesia.

Il teatro come luogo della comunità diventa anche crogiuolo delle varie pulsioni che attraversano la società, come dimostra quanto capitato anche a una grande diva, l’osannata Angelica Catalani.

Una delle più agguerrite manifestazioni concernenti il teatro ebbe luogo a Londra nel 1809 con la cosiddetta “rivolta per i vecchi prezzi”. L’anno prima il Covent Garden era stato distrutto da un incendio; il piano di ricostruzione prevedeva un maggior numero di palchi privati ed un aumento generale del costo dei biglietti. Si scatenò una sollevazione contro la decisione presa in maniera autocratica e contro gli eccessivi costi di ingaggio della Catalani, che per di più (siamo in pieno anti-bonapartismo) era sposata ad un Francese. E questo nonostante che la cantante fosse ammirata anche in Inghilterra, dove cantava da tre anni e dove la stampa non le lesinava complimenti: “la sua voce lanciata al massimo ha un volume e una forza sorprendenti”, “un intero nido di rondini in gola”, la regina Carolina, moglie di Giorgio IV, agli acuti del soprano “deve mettersi i tappi di cotone alle orecchie”.

La cantante era nata a Senigallia nel 1780, due anni dopo che da Mondolfo i suoi genitori vi si erano trasferiti. Suo padre era un orefice, ma, dotato di una voce idonea, aveva preferito ricoprire il posto di primo basso presso la cappella musicale del Duomo, che il vescovo Bernardino Honorati aveva istituito e che dal 1778 era diretta dal maestro Pietro Morandi. Quando il Catalani si accorse che Angelica era dotata di qualità vocali particolari, la affidò prima all’insegnamento del Morandi, poi la indusse a ricoprire il posto di corista presso un convento di Gubbio e successivamente, avendo rivelato la giovane ottime qualità vocali, la fece tornare in famiglia per fare di lei una cantante lirica. Un impresario veneziano, capitato a Senigallia per la Fiera, udì la voce della diciassettenne e volle farla esordire alla Fenice di Venezia nello stesso anno. Il successo fu subito grande e di lì Angelica partì per una vita professionale piena di applausi e di grande remunerazione economica. Cantò a Roma, Firenze, Milano (alla Scala in due momenti diversi nel 1801). Scritturata dal Teatro Italiano di Lisbona, non più celebre ma divina come scrive suo padre, rimase in Portogallo per quattro anni, beniamina del pubblico e della Corte. A Lisbona aveva conosciuto un ufficiale francese addetto all’ambasciata, Paolo Valabrègue, che lei volle sposare nel 1802 nonostante l’opposizione della sua famiglia. Egli si rivelerà ben presto un indelicato e poco intelligente manipolatore del talento e della popolarità di Angelica. I concerti tenuti in pochi mesi nel 1806 fecero di lei un idolo. Napoleone in persona le promise lauti compensi se fosse rimasta in Francia. Lei, però, a Lisbona si era già legata con un altro contratto ancor più vantaggioso tramite l’ambasciatore di Inghilterra, paese che raggiunse dopo aver lasciato di nascosto e avventurosamente la Francia.

In Inghilterra i suoi successi furono enormi quanto i compensi ricevuti, che le consentirono una vita principesca e permisero a suo marito di perdere grandi somme al gioco. Dopo l’abdicazione di Napoleone nel 1814 la Catalani rientrò a Parigi; se ne allontanò per un tour nell’Europa del nord durante i 100 giorni napoleonici.

Luigi XVIII, che l’aveva applaudita in Inghilterra, la compensò per la sua fedeltà con un altissimo stipendio e la nominò Direttore del Teatro degli Italiani a Parigi. L’incarico-premio in realtà si convertì per Angelica in fonte di amarezze. L’istituzione dovette dopo quattro anni dichiarare bancarotta, per la quale fu determinante l’incompetente e improvvida interferenza del marito.

Tra il 1823 e il 1832 si colloca una serie di viaggi e di rappresentazioni, sempre occasioni di grandi successi. La Catalani era dotata di una voce di soprano straordinaria per bellezza di timbro, estensione, agilità e potenza. La sua educazione musicale fu però incompleta, a causa del suo precoce debutto sulle scene e dell’immediato successo. Leggeva la musica con difficoltà, ma era dotata di una memoria prodigiosa. Celebrata anche per la sua avvenenza e incedere regale, fu considerata ineguagliabile nelle arie di bravura, mentre alcune riserve furono avanzate sulla sua recitazione considerata un po’ istrionica.

Angelica finì con il ritirarsi a vita privata in una villa presso Firenze, dove istituì una scuola di musica e canto per le fanciulle povere. Più che numerosi sono gli episodi che documentano il grande senso di solidarietà umana e carità di questa donna nei confronti dei bisognosi. Per evitare un’epidemia di colera, che si era manifestata nel 1849, la Catalani si trasferì a Parigi presso i figli, ma il morbo la colpì ugualmente e lì morì all’età di 69 anni. Nel 1850 i tre figli chiesero di seppellirne la salma nel Camposanto Monumentale di Pisa, dove le fecero erigere un complesso scultoreo.

 

                                                                                                                        di Flavio e Gabriela Solazzi

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