Le grotte sono il vuoto conosciuto delle montagne. Vie di drenaggio delle acque nella roccia o nei ghiacci. Tubi lavici o accadimenti tettonici, generati da crolli. Il buio è una soglia, oltre è un mondo altro. Vi sono anche cavità artificiali, create dall’uomo nel passato remoto o prossimo. Gli speleologi esplorano e riportano i dati di questo mondo vicino, simile, ma non uguale. Lo rendono conosciuto, conoscibile. Accompagnano visitatori, formano futuri esploratori.

Ho voluto incontrare uno speleologo per farmi raccontare le sue avventure. E’ una lei, si chiama Michela Mancini. Quando cominciò, era l’unica donna.

“Mi avvicinai alla speleologia nel 1996, con il Gruppo CAI (Club Alpini Italiani) di cui ancora faccio parte. Sia mio padre che mio fratello la praticavano e fin da bambina mi è sempre piaciuta la montagna. Ho iniziato con i primi rudimenti, risalite su corda, ingresso in grotta e via fino a fasi più complesse”

Poche donne speleologhe e allora penso che ci voglia una certa forza fisica

“No, non servono particolari doti fisiche, chiunque potrebbe avvicinarsi a questa disciplina, poi dipende fin dove ti vuoi spingere, dove vuoi arrivare. L’importante è comunque essere seguiti sempre da un gruppo valido che ti aiuti. Spesso mi capita di portare in grotta anche dei bambini, molti di loro, ora cresciuti, sono rimasti nel gruppo e fanno attività un pochino più seria”

Le chiedo, a questo punto, quali siano le differenze fra le varie attività collegate

“Si inizia con l’escursionismo in grotte orizzontali dove si cammina e ci si limita nelle arrampicate. Poi la fase dell’esplorazione, c’è chi si occupa della didattica e chi di tutta la documentazione. Perché poi quello che conta è anche “portare fuori” ciò che si è visto. C’è chi ci scrive racconti, chi ricerche scientifiche su come si formino le grotte o sul perché dei percorsi d’acqua. In tutti questi anni ho sperimentato un po’ tutti i ruoli”

L’aspetto che ti affascina maggiormente?

“L’aspetto esplorativo, senza dubbio. Entrare in luoghi dove nessuno mai prima vi ha messo piede. La scoperta di luoghi naturali intatti procura un immane piacere, anche se qui un poco di preparazione fisica occorre, ma direi soprattutto da non sottovalutare le reazioni della psiche”

Entriamo anche qui in un campo inesplorato…

“Entri in un ambiente dove non è entrato mai nessuno, che tu stesso non conosci. C’è la paura, l’adrenalina è alta, non sai dove e se ci sono pericoli. Ma se conosci i tuoi limiti e sei padrone della tecnica non si corrono particolari rischi. Il rischio c’è quando ti spingi oltre e non sai più quando è il tempo di fermarti e di tornare indietro. La preparazione psichica è necessaria anche per operazioni di soccorso. Mi è solo capitato di partecipare a simulazioni, ma è davvero dura, sono manovre molto lunghe. Spostarsi anche solo per 20 metri può richiedere qualche ora”

Conservi il racconto di un’esperienza più ardua ed imprevedibile di altre?

“Nel Lazio, sul Carpineto romano, monti Lepini. Un percorso lungo di ore e faticoso per difficoltà. I cunicoli sono molto stretti, bagnati, fangosi e si percorrono completamente stando soli. Non senti la voce né di quello che ti sta davanti, né di quello che ti sta dietro e fa molto freddo. Quando sei solo pensi e ripensi, ascolti tutti i rumori. Impressionante quello delle gocce d’acqua, simulano voci umane. E’ una sensazione frequente e comune, quella di sentire le voci, forse perché è tanta la voglia di ascoltarle realmente. Il rumore dell’acqua rimanda alle immagini di persone che stanno per arrivare”

Le chiedo di descrivermi le nostre grotte, quelle a noi vicine

“Abbiamo la fortuna di averne di bellissime. Fra le più belle. Le Grotte di Frasassi e quelle del monte Cucco. Ricordo che qui andai in fondo, a 900 metri di dislivello e trovai pozzi molto alti, anche di 180 metri di verticale e li percorsi da sola, con la corda. Qui abbiamo trovato un nuovo collegamento che ci ha permesso di ridisegnare la grotta. Ma le grotte più belle le ho trovate in Sardegna. Sono enormi e piene di acqua”

Ridisegnare la grotta attraverso dei rilievi che non possono essere così precisi. Quali sono le strumentazioni utilizzate?

“Bussola, eclimetro, fettuccia metrica, distanziometri. Si tracciano le poligonali poi le sezioni, ma parte del rilievo è fatto a vista. L’orientamento, la poligonale, la direttrice della grotta con gli strumenti, ma il profilo e il contorno viene disegnato e qui non può, ovviamente, esserci la precisione assoluta”

Cosa mi dici a riguardo dell’abbigliamento?

“ Ci si barda parecchio. Una sottotuta a pelle, generalmente in pile o in fibra tecnica, sopra una tuta con materiale resistente all’usura e poi indossiamo tutta l’attrezzattura tecnica: imbrago, vari moschettoni, attrezzi per la discesa e per la salita, il casco con l’impianto elettrico. Per illuminarci prima usavamo l’acetilene, il carburo a contatto con l’acqua sprigiona un gas, appunto l’acetilene, infiammabile. La luce era bellissima, come una candela, calda. Ora usiamo perlopiù il Led, meno inquinante. E poi con l’acetilene la fiamma sprigionava nero fumo e quando uscivamo dalle grotte avevamo il naso tutto nero…”

La luce a led disturba meno anche gli animali. Penso ai pipistrelli. Chi altri abitano le grotte?

“Certo più che altro i pipistrelli, sono tantissimi e non spaventano affatto. Sono piccoli e al contrario di quello che ci dicono non toccano mai l’uomo. Poi ci sono dei microrganismi che si sono nel tempo adattati all’ambiente, ad esempio a Frasassi dentro i laghetti vive una specie unica di crostacei”

Vi occupate dei fenomeni naturali che avvengono nel sottosuolo, tra cui il movimento delle acque sotterranee. So che vi siete occupati anche dell’Acquedotto di San Gaudenzio di Senigallia

“Facendo ricerche nell’archivio storico comunale scoprimmo questo antico acquedotto che portava l’acqua a tutta la città. Ci sono ancora, vicino alle cave,  i cunicoli con i mattoni a volta, anche se l’acqua non è più potabile. Questo tipo di esplorazioni fa parte di un altro ramo della Speleologia, la chiamiamo speleologia urbana. Anche qui c’è il fascino della scoperta con la differenza che si percorrono ambienti costruiti dall’uomo. Le ricerche continuano, abbiamo anche incontrato un uomo che abita lì e ci ha mostrato le vasche sotterranee, hanno acqua pulita, limpida. Diversi cunicoli sono stati trovati anche nel centro della città. Accanto alla fontana di Piazza del Duca c’è un tombino da dove sono scesa e ho trovato l’impianto idraulico della vecchia fontana di epoca rinascimentale. Un cunicolo che attraversa tutta la piazza fino ad arrivare alla scuola Pascoli”

Ci vuole coraggio per fare quello che fa Michela, per affidare la propria vita, in un certo senso, a quella dei compagni con cui scendi in grotta. Ci vuole sangue freddo per affrontare il buio, per attraversarlo come una soglia, oltre è un altro mondo, quale non lo sanno. Ci vuole dedizione a portare avanti una passione per anni e ci vuole cuore, quanto mai appartenente alla sfera femminile, per correlare tutti questi sentimenti con la bella descrizione che ci ha donato delle sue esperienze.

 

                                                                                                                                                Le.St.

 

vita da speleologo
le grotte di Camerano (An)

One thought on “Vita da speleologo

  1. Ci sono cose che solo gli speleologi sanno. Che sia un privilegio ambìto o una condanna che li confina il più lontano possibile da ogni fonte di sostentamento alla ricerca è una questione dubbia. Cosa sanno poi di così importante, tali amanti dell’umido, dello sporco e d’altri minacciosi luoghi comuni, non è chiaro al mondo. Sono scienziati? Atleti, turisti? Non rientrano quasi mai in una categoria. Altrettanto perplessi noi speleo ci chiediamo come possa un naturalista definirsi tale e ignorare vistosamente il punto di vista dal mondo sotterraneo, uno dei tre che la mitologia greca ha riservato agli Dei.

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