Nelle fotografie di Giovanni Ghiandoni

una diversa percezione del mondo

 

i paesaggi di carne di Ghiandoni
” Ecco come si può rivitalizzare l’assetto estetico della fotografia attraverso una nuova percezione delle cose”

 

 

di Maurizio Cesarini, Professore d’Arte

Il corpo è un buco nel mondo: non è solo carne, ma materia viva palpitante ed il mondo non lo ospita, ma ne è agito, qualunque sia la sua natura umana o animale, ed è questa sorta di dicotomia tra corpo e mondo che viene annullata nelle fotografie di Giovanni Ghiandoni.

Il corpo è tale fintanto che esiste, deprivato della sua esistenza diviene frammento, cosa inanimata, pura materia carnale che attiene più alla materialità che alla vitalità.

La carne è lacerto di una unità dissezionata, quindi esprime totalmente ciò che è,  al di là di qualunque funzione biologica vitale.

Questo si può ben assimilare all’idea di paesaggio, anch’esso frammento di un territorio, spazio delimitato di una totalità impercepibile nel suo insieme, ma rilevabile nei frammenti che la compongono.

Va detto comunque che il lavoro di Ghiandoni non si pone sul crinale di un facile e scontato uso del simbolo, né utilizza sistemi allegorici, ma esplicita più analiticamente una idea di mondo ed un concetto di linguaggio visivo, per darne non una semplice rappresentazione, ma evidenziarne un senso più sottilmente estetico.

Questi lacerti carnei, questi frammenti anatomicamente non individuabili, determinati dalla diversa incidenza luminosa, permettono alle forme di suggerire luoghi e morfologie paesistiche.

Le immagini evocano territori disseccati, desertici attraversati da strutture ossee appena percepibili, ma leggibili come tracce geologiche; la carne declina tutte le modalità morfologiche che la caratterizzano, così che la morbidezza diviene materia collinare, le increspature profondi solchi del terreno, i frammenti osteologici ricordano profondi avvallamenti, quasi residui di un cataclisma primordiale.

Ma il lavoro di Ghiandoni non può certamente ridursi solamente a questi aspetti,esiste una questione che attiene più precisamente alla sfera estetica ed artistica, a cominciare dalla raffinata qualità visiva delle sue immagini, che pur adottando linguisticamente il bianco e il nero, tuttavia rimangono estremamente originali ed efficaci.

La sua ricerca non è pedissequamente realistica, non si compiace del facile effetto straniante dato da un taglio che evidenzia un particolare, ma pone il problema della fotografia, del suo statuto come mezzo espressivo che non è destinato obbligatoriamente a restituire la realtà, ma semmai ad evocarne i fantasmi, le tracce, sino a divenire essa stessa più reale del reale.

La materia stessa della fotografia è esaltata non solo nella ricchezza del nero intenso e dei bianchi brucianti e bruciati, ma anche negli innumerevoli passaggi tonali del grigio che diviene un vero e proprio colore.

I paesaggi sono veramente tali, ma non possiamo percepirli, a differenza di quelli terrestri, altrimenti che attraverso l’occhio del fotografo, mediante la sua traduzione in forma fotografica.

Inoltre l’immagine vibra attraverso l’esplicitazione di una grana che diviene quasi una texture materica, evidenziando ancor più il contesto visuale ed immaginario entro il quale si collocano questi carnei paesaggi.

Interessante rilevare poi l’estremo rigore esecutivo e teorico del lavoro di Ghiandoni, che parla attraverso queste foto anche della sua terra, questo potrebbe apparire paradossale, ma pensiamo a quante volte Giacomelli stesso ha dichiarato una contiguità visiva tra i suoi paesaggi e la pelle, l’epidermide dei contadini che li abitano e li coltivano.

Ecco come si può essere dentro una tradizione e al contempo avere una propria originale dimensione espressiva, attraversando così motivi, come il paesaggio e modalità, come il particolare, senza cadere in una iconografia banale, ma al contrario rivitalizzando l’assetto estetico della fotografia attraverso una nuova e personale percezione delle cose.

Ghiandoni non è quindi solo un fotografo, ma un artista, nella accezione piena del termine, poiché non si fa irretire dal mezzo e dalle sue possibilità tecniche, ma lo usa per dichiarare un diverso modo di percezione del mondo e quindi un’altra possibilità di pensarlo.

 

 

 

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