LO STATO DI SALUTE DELLE ACQUE

LA BANDIERA BLU CI DA’ POCHE RISPOSTE

Le condizioni di salute del nostro mare rispetto a trent’anni fa sono migliorate. Ce lo dice il Dipartimento delle Scienze del Mare dell’Università di Ancona, un Centro attivo di studio sull’ecosistema marino. “Le Monde” pubblica ricerche che portano il nome dei docenti del Dipartimento, ma molti ancora ne ignorano l’esistenza.

di Leonardo Badioli

Come sta il mare?

Sarà certamente di interesse dei nostri ospiti estivi, come dei senigalliesi del resto, sapere in quali condizioni si trovi il mare in cui vogliono immergersi. Il Comune di Senigallia ha emesso un manifesto in cui si mostra ragionevolmente orgoglioso della sua bandiera blu – riconoscimento che le viene rinnovato ormai da molti anni ininterrottamente – ed elenca i tredici buoni motivi che l’hanno fatto avere e mantenere.

Solo tre di essi si riferiscono direttamente alle condizioni del mare: acque di balneazione pulite, depurazione delle acque reflue, controlli costanti della balneabilità. Gli altri indici riguardano  spiagge pulite, docce e fontane di acqua potabile, sicurezza dei bagnanti e servizi di soccorso; o sono parametri generali di efficienza civica: infopoint, accessi per disabili, rispetto del verde, aree giochi per bambini, raccolta differenziata porta a porta. Non possiamo dunque porre eccessive domande ala bandiera blu sulla salute del mare.

Per saperne di più, qualche anno fa, andai a trovare il biologo Carlo Froglia, allora responsabile dell’Istituto di Biologia Marina del CNR, che si trova nell’area portuale di Ancona. “Come sta il mare?” ricordo di avergli chiesto, come si farebbe con un medico per la salute di una persona cara. Lui aveva allargato la mano oscillandola come una battana quando il mare è da levante. “Insomma. Benino. Certamente meglio di trent’anni fa. I depuratori ci sono e fanno la loro parte. Qualche problema resta la depurazione dei reflui della piccola industria, a causa degli alti costi necessari per farli funzionare. L’agricoltura poi: rispetto a trent’anni fa c’è più autocontrollo su pesticidi e fertilizzanti. Alcuni prodotti non si usano più. Organoclorurati come i PCB, per esempio, bloccavano lo sviluppo degli insetti ma anche quello dei crostacei”. Alla richiesta però di riprendere il racconto da trent’anni prima, quando c’erano inquinamento da batteri fioriture e mucillaggini in grandi quantità quasi ad ogni estate, il professor Froglia aveva allargato le braccia. “Chi lo sa? Le mucillaggini le manda Dio. Le cause? Inverni troppo miti, piogge scarse e poi rovesci improvvisi, sostanze eutrofizzanti: molte cose sono ancora da capire. In seguito le alghe macroscopiche si sono viste meno. Sono sopravvenute fioriture di microalghe planctoniche, il pel verde, il pel rosso: le alghe ci sono anche quando non si vedono.” E poi il discorso è scivolato via. Abbiamo parlato di specie  che si sono rarefatte e del pesce angelo che non si trova più, e di altre specie che invece si sono insediate, Scafarca, per esempio; dell’attività della vongolare, della vitalità biologica del mare; e intanto mi invitava a ricordarmi che il suo Istituto si occupa di ricerche a favore della pesca, e non direttamente delle condizioni del mare. Alla svolta del millennio – risolti o tamponati in qualche modo i mille epifenomeni locali di inquinamento ed eutrofizzazione – lo studio dell’ecosistemza marino si è sempre più concentrato sui fattori climatici che ne condizionano in modo decisivo lo stato di salute.

Un Centro particolarmente attivo è il Dipartimento delle Scienze del Mare dell’Università Politecnica delle Marche, che ha sede ad Ancona. Qui il Professor Roberto Danovaro guida un buon numero di ricerche, non solo in ambiente adriatico, ma anche più ampiamente pelagico. Proprio il 1 gennaio dell’anno scorso, per esemoio, Le Monde dava notizia di una ricerca che portava il suo nome, insieme a quello di altri suoi colleghi, sotto il titolo “Gli abissi sono molto sensibili ai danni portati alla biodirversità”.

In quanto al nostro mare, aveva fatto molta impressione l’anno 2003, quando un’estate caldissima aveva seguito un Inverno davvero troppo mite. Il passaggio della temperatura media invernale da 5 a 13 gradi aveva prodotto in quell’anno l’effetto di fermare la corrente del Golfo di Trieste e aveva fatto temere, per il futuro, la trasformazione dell’Adriatico in una “palude salmastra”. Lo stesso Danovaro aveva sottolineato, in quell’occasione, la necessità di condurre rilevamenti anche negli anni successivi al 2003, in modo da vedere se le correnti adriatiche, indispensabili per la sopravvivenza della vita biologica marina, avevano ripreso il loro cammino o si erano definitivamente fermate. Quasi a rassicurarci su questo proposito, nell’ottobre 2005 un signore raccoglie su una delle tante spiaggette del colle S.Bartolo, sopra Pesaro, una bottiglia contenente un messaggio che i bambini di una scuola croata di Umago hanno affidato al mare. Se quella bottiglia aveva percorso 180 miglia prima di prendere terra presso la frazione di Cattabrighe, una corrente doveva avercela portata.

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