LAVORO

IL MURATORE DELLA VALTELLINA

 

Un giovane della Valtellina, non trovando lavoro in patria, emigrò in Germania, e proprio a Berlino trovò un posto in un cantiere come muratore. Mario – così si chiamava il giovane – ne fu molto contento: lavorava sodo, mangiava poco, e quel che guadagnava lo metteva da parte per sposarsi.

Un giorno, però, mentre si stavano gettando le fondamenta di un palazzo nuovo, un ponte crollò. Mario cadde nella gettata di cemento armato, morì, e non fu possibile recuperare il suo corpo.

Mario era morto, ma non sentiva alcun dolore. Era chiuso in uno dei pilastri della casa in costruzione, e ci stava un po’ stretto, ma a parte questo pensava e sentiva come prima. Quando si fu abituato alla sua nuova situazione, poté perfino aprire gli occhi e guardare la casa che cresceva intorno a lui. Era proprio come se fosse lui a reggere il peso del nuovo edificio, e questo compensava la tristezza di non poter più dare notizie di sé a casa, alla povera fidanzata.

Nascosto nel muro, nel cuore del muro, nessuno poteva vederlo o almeno sospettare che fosse lì, ma questo a Mario non importava.

La casa crebbe fino al tetto, furono collocate al loro posto porte e finestre, gli appartamenti vennero venduti e comperati, e popolati di mobili, e da ultimo ci vennero ad abitare numerose famiglie. Mario le conobbe tutte, dai grandi ai piccini. Quando i bambini zampettavano sul pavimento, studiando i loro primi passi, gli facevano il solletico alla mano. Quando le ragazze uscivano sui balconi o si affacciavano alle finestre per veder passare i loro innamorati, Mario sentiva contro la propria guancia il morbido fruscio dei loro capelli biondi. Di sera udiva i discorsi delle famiglie radunate intorno alla tavola, di notte i colpi di tosse degli ammalati, prima dell’alba il trillo della sveglia di un fornaio che era il primo ad alzarsi. La vita della casa era la vita di Mario, le gioie della casa, piano per piano, e i suoi dolori, stanza per stanza, erano le sue gioie e i suoi dolori.

Ed ecco che un giorno scoppiò la guerra. Cominciarono i bombardamenti su tutta la città e Mario sentì che anche per lui si avvicinava la fine. Una bomba colpì la casa e la fece crollare al suolo. Non rimase che un mucchio informe di macerie, di mobili infranti, di suppellettili schiacciate sotto cui dormivano per sempre donne e bambini sospesi nel sonno.

Fu soltanto allora che Mario morì davvero, perché era morta la casa nata dal suo sacrificio.

 

                                                                                                             Gianni Rodari, Favole al telefono, 1962

 

 

e' ancora giusto ricordare il 1 maggio

One thought on “E’ ancora giusto ricordare il 1^maggio

  1. E’ molto bello e commovente questo racconto. Dovrebbero leggerlo alcuni dei grandi “capi”, i quali, si domandano mai di quanto sia ingiusta ed inutile la guerra?

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