Pregevole collezione d’Arte contemporanea

a San Giorgio di Pesaro

 

Vi sono luoghi dove l’arte si sviluppa in modo inusuale, siano gli aspetti morfologici del sito, oppure l’empatia che si instaura tra i suoi abitanti, comunque sia avvengono magiche ed inaspettate coincidenze tra interessi culturali ed artistici.

In un piccolo centro dell’entroterra marchigiano, San Giorgio di Pesaro, è avvenuta nel corso del tempo una straordinaria fioritura di esperienze artistiche, che il Comune ha pensato di valorizzare dedicandogli uno spazio nel museo civico.

Domenico Marini adotta una soluzione figurativa, non semplicemente illustrativa, il suo lavoro è dichiaratamente il portato delle esperienze pittoriche collocabili tra le ricerche figurali novecentiste.

Il suo è un paesaggio di pura evocazione emozionale, non risponde ad un dettato figurale di tipi descrittivo, ma evoca un senso, un tempo, un luogo, attraverso una tipologia figurale che esprime un vedere interiore.

Giorgio Sorcinelli lavora oltre che sul paesaggio, anche sulla figura, la sua capacità pittorica consiste nel tradurre la figura non in semplice figurazione, ma di coniugare tutte le estensioni tecniche della pittura.

Il ductus pittorico, la correlazione tonale, concorrono a definire un ritratto che vive e si manifesta mediante la pittura stessa.

Non quindi mera imitazione, ma consapevolezza della grammatica figurale espressa attraverso un gioco sapiente di tocchi e stesure.

Marta Donnini traduce il reale attraverso un senso affabulatorio, gioca sulla giustapposizione degli elementi per costruire non l’ambiente, ma il racconto di un luogo possibile.

L’incisività dei particolari evidenziati da una descrittività precisa e funzionale, costruisce una immagine di grande impatto sia cromatico che figurale; le immagini sono piene, costrette dal limite del quadro a narrare una possibile espansione fuori dai suoi confini.

Albano Anniballi usa la materia coniugandone le possibilità estensive sempre all’interno di un pensiero forte e definito.

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opera di Albano Anniballi

L’assetto aniconico del suo lavoro non è risolto nell’ambito limitante di un semplice astrattismo. Anzi i suoi lavoro si presentano come una sorta di palinsesto stratificato di significati; c’è un senso profondamente sacrale, di un sacro che attiene ad una origine, una sorte di scaturigine archetipica. I materiali freddi, come quelli di origine metallica convivono con il calore degli elementi antropologici, quasi che l’opera sia un residuo di ere passate, di riti e miti dimenticati nel tempo, ma sempre vivi e presenti, per via della loro forza evocativa.

Gli stessi oggetti che inserisce in piccole nicchie all’interno dell’opera dichiarano una ascendenza mitica, sorta di resti residuali di riti e mondi eppure prossimi al limite del contemporaneo. Lo stesso assetto stilistico dona alla sua opera oltre che una precisa raffinatezza formale, anche una consapevole appartenenza nell’ambito della ricerca contemporanea.

Simonetta Peloni adotta una scrittura pittorica netta e precisa, quasi piatta, poiché l’intento non è quello di lavorare sulla determinazione della pittura come sostanza, ma di evidenziare attraverso la pittura la chiarezza esemplare di un mondo visivamente definito e leggibile.

E’ quindi il contrasto tra le campire pittoriche a creare l’immagine attraverso accostamenti e giustapposizioni che evidenziano sia la forma che la luce.

Sandro Ciriscioli a prima vista sembra appartenere ad una linea aniconica, ma la sua sensibilità pittorica espressa attraverso sottili variazioni tonali, allude ad una idea figurale più decisamente paesistica. Il paesaggio in lui non è descrizione di evenienze formali o morfologiche, anzi agisce in una profondità che attiene più al dominio dell’inconscio che alla percezione retinica.

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opera di Sandro Ciriscioli

Inoltre il suo discorso è eminentemente pittorico, struttura la materia del colore attraverso passaggi repentini tra diluizione e materia; utilizza tutte le gamme delle variazioni tonali, come se invece di un dettato pittorico seguisse una struttura armonica di tipo musicale.

Lavora sull’equilibrio delle tinte dosando sapientemente la timbrica dei colori freddi e quelli caldi, per arrivare ad una totalità armonica che diviene incontestabilmente l’identità più significativa della sua pittura.

Isabella Peloni adotta come tecnica privilegiata l’acquerello, ciò è perfettamente comprensibile, poiché il senso del suo lavoro va ricercato in un raffinatezza esecutiva giocata sui passaggi tonali e timbrici del colore.

Le leggere sovrapposizioni, così come la tecnica richiede, costruiscono l’immagine, definiscono la sua struttura, suggerendo una concretezza figurale del soggetto, ma mostrano anche le velate sovrapposizioni che lo costituiscono come immagine.

Carla Barattini privilegia il paesaggio e pur evidenziandone le caratteristiche morfologiche, non indulge a mera descrittivi, anzi adopera la pittura in tutte le sue estensioni tecniche e formali.

La sua è una figurazione classica, intendendo con questo termine non una pedissequa imitazione, ma una consapevolezza dei mezzi e delle modalità espressive della rappresentazione pittorica.

Corrado Cascioli usa la figurazione per suggerire evenienze culturali che si intrecciano con il mito, il racconto, il simbolo.

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opera di Corrado Cascioli

La sua è una pittura fortemente connotata in termini di qualità esecutiva e sapienza tecnica, ma queste capacità non rispondono ad una mera esplicitazione del fare, anzi declinano tutta una serie di possibilità espressive e tecniche, in funzione di un raccontare che a volte dichiara ed altre volte semplicemente suggerisce ed evoca.

Il suo non è semplicemente un problema definibile in termini iconici o aniconici, semmai il senso è quello di utilizzare tutte le modalità e le forme della pittura per dire ciò che non può essere detto, ciò che attiene all’origine che può solo essere allusa o al massimo evocata.

Egli racconta, suggerisce, dichiara, squadernando tutta una serie di modalità figurali che procedono come una sorta di singulti improvvisi, di affermazioni e negazioni visive con una ricchezza iconografica davvero sorprendente.

Elio Balducci costruisce icone visive attraverso l’uso di materiali inusuali (come i chiodi ad esempio), perché l’immagine non è solo rappresentazione, ma è anche materia che lo conforma.

Quindi il problema che pone è quello di arrivare ad una forma, una immagine attraverso modalità eccentriche, che al fine mostrano però la sostanza della figurazione; egli non allude, dichiara apertamente l’idea figurale, ma la concretizza con un inusuale senso plastico.

Marco Morazzini adotta il colore nella sua forma e nella sua sostanza; forma perché il colore si stende sul supporto seguendo precise modalità espressive, sostanza perché si da come materia piena e autoreferenziale.

La materia quindi coincide con la forma, quella stabilisce la direzione ed il movimento, questa si definisce attraverso il dispiegarsi del colore come sostanza autonoma e autorigenerante in termini figurali.

Fernanda Conti utilizza il colore come luogo primario in cui si manifesta il segno, i suoi lavori posseggono la raffinatezza di un ordito pittorico che si manifesta attraverso l’adozione della sinuosità della linea.

La sua non è semplice divagazione grafica, ma grafia significativa, che nasconde attraverso i tracciati del segno realtà appena nascoste.

L’artista racconta, ma il narrare è composto da sovrapposizioni di immagini che si attraversano, che si interrompono, in un sottile gioco dialettico e visuale tra realtà ed apparenza.

Danilo Conti opera sul versante della ripetizione seriale; il medesimo oggetto si moltiplica in una possibilità di eventi visivi e traduzioni cromatiche che ne enfatizzano la banalità, trasfigurandolo in una immagine preziosa.

La ripetizione differente, è il caso di dirlo, diviene una modalità ironica di lettura del mondo attraverso la percezione.

L’immagine cambia colore e posizione come in una sorta di di enunciazione ritmica, ma il suono, per rimanere nell’ambito della metafora musicale, diviene variazione seriale che presuppone una sua precisa definizione iconica.

Francesco Poletti è indubbiamente uno scultore, ma della scultura adotta lo spazio e non la materia.

I suoi lavori non si pongono in senso volumetrico, come superfici solide definiti dalla luce, ma dialogano con lo spazio per sottrazione, composte come sono di sottili elementi lineari.

La linea entra nello spazio, suggerisce una struttura formale declinandone gli assunti costruttivi, ma non la chiude, anzi ne accentua il dialogo con l’ambiente in modo sottile e non invasivo.

Giuseppe Polverari si pone senz’altro sul versante aniconico della pittura, in lui il gesto e la materia pittorica, coincidono.

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Opera di Giuseppe Polverari

La tela diviene il luogo dell’incontro, una sorta di arena dove la materia pittorica trova una sua precisa identità attraverso il gesto che la informa.

Il colore si rapprende, si condensa in forme definite, quindi si perde in rivoli, in una sorta di dripping pensato e controllato.

Mentre tutte le declinazioni del pensiero informale vengono dichiarate attraverso una resa pittorica forte e determinata.

Thomas Orthhman agisce nell’ambito della iconografia, nel suo lavoro la citazione in questo caso della Metafisica, diviene elemento espressivo.

L’uso degli elementi figurali non è semplicemente fine a sè stesso, ma viene usato come possibilità espressiva che li desemantizza dandogli altri sensi.

La Metafisica diviene quasi un luogo mitico dell’arte, dove prendere gli elementi per costruire un discorso che è assolutamente proprio, quasi fosse un magazzino della cultura dove ricomporre o assemblare gli oggetti visivi per trarne un altro senso e nuovi significati.

 

di Maurizio Cesarini, Professore d’Arte

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