Quei ribelli di Ascoli Piceno

 

Nel 1958 un gruppo di operai sindacalisti abbandona “da sinistra” il Cai per fondare il Gruppo Alpinisti Piceni (Gap, come la formazione armata di partigiani comunisti). Le loro storie. 

 

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La Guida del Monte Vettore del GAP edita nel 1959

 

Una mattina di febbraio del 1982, sui colli tra Ascoli Piceno e l’Adriatico, un allevatore munge le sue venti mucche. Poi bacia la moglie che rimane tranquilla a dormire, sale in auto, imbocca la statale per Teramo che conosce a memoria. Di fronte a lui, nella luce dell’alba, compare il Gran Sasso.

L’uomo guida veloce fino ai Prati di Tivo. Poi, lasciata l’auto, va di corsa. Per un alpinista normale, salire e scendere d’inverno dalla Vetta Orientale del Corno Grande richiede una giornata. Ma Tiziano Cantalamessa è un alpinista e un atleta straordinario.

Dall’Arapietra, risale il Vallone delle Cornacchie fino al rifugio Franchetti, che d’inverno è chiuso. Continua lungo la ferrata Ricci, percorsa da una traccia battuta. Sull’anticipa della Vetta Orientale, si concede una sosta al sole per fumare. Poi riparte in discesa, nel canale Jannetta.

Qui le tracce piegano verso il Quarto Pilastro. Il giorno prima, scoprirà al rientro Tiziano, Paolo Caruso e Massimo Marcheggiani hanno compiuto la prima invernale del Pilastro. Lui abbandona le tracce, va a sinistra, attacca un altro itinerario.

Nello zaino ha una corda, ma la lascia dov’è, insieme alla piccozza e ai ramponi. Slegato ma sicuro, sfruttando i pochi appigli puliti, supera un cammino di quinto grado, traversa sotto a degli strapiombi rossastri, riprende a salire per altre fessure difficili.

Quando arriva in cima, e si siede per l’ennesima sigaretta, ha impiegato due ore all’attacco. Poi scende sulla cresta, si tuffa per un canale di neve verso il Calderone, prosegue verso i Prati di Tivo. Quando torna a casa, ha il tempo per aiutare Renata, la moglie, nella mungitura della sera.

Per vent’anni, fino alla sua morte nel 1999 in un incidente durante un “disgaggio”, la sistemazione di una scarpata sopra a una strada nelle Marche, Tiziano Cantalamessa è l’alpinista più forte del Centro-Sud, e uno dei migliori d’Italia.

Compie in estate e d’inverno grandi imprese sul Paretone, la muraglia più alta del Gran Sasso. Sui Sibillini, insieme a Franchino Franceschi, traccia le prime vie di settimo grado. “E’stato il nostro Bonatti” scriverà Massimo Marcheggiani nel libro Tu non conosci Tiziano.

Di Tiziano Cantalamessa, oltre alle ascensioni, stupiscono le scelte di vita. Operaio alla Metalmeccanica Picena, all’inizio degli anni Ottanta si trasferisce con Renata ad allevare vacche sui colli di Sant’Egidio alla Vibrata. Poi butta tutto all’aria un’altra volta, per tentare di lavorare a tempo pieno come guida.

 

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Tiziano Cantalamessa sul Gran Sasso

 

Le Marche, e basta un brevissimo viaggio a capirlo, non sono una regione rossa. In piccole e grandi città, nella piazza centrale, la grande statua di un Papa ricorda che questa terra, per secoli, è stata parte dello Stato della Chiesa. Anche Ascoli Piceno, tra le vette dei Sibillini e la costa, a prima vista non sembra una piccola Stalingrado.

Il centro, con le sue torri di travertino e le sue chiese, offre belle emozioni d’arte e storia. Piazza del Popolo, con i suoi portici e i suoi bar, è un inno al bel vivere e allo struscio. I colli che circondano il centro sono rivestiti da uliveti.

A est del centro, però, sorge una zona industriale importante, nata grazie alla Cassa per il Mezzogiorno. Anche a causa di queste fabbriche, l’alpinismo targato Ascoli Piceno è ben diverso da quello di Roma, egemone per decenni sul Gran Sasso e sui massicci vicini, e delle città dell’Abruzzo.

Se si bada alle cronache, tutto inizia nel febbraio 1958, sessant’anni fa, quando un gruppo di giovani alpinisti abbandona “da sinistra” una sezione del Club Alpino Italiano che giudica irrimediabilmente borghese, e che considera come attività principale lo sci di pista a Forca Canapine e dintorni.

Maurizio Calibani, Tito Zilioli, Francesco Saladini e i loro amici vogliono dedicarsi all’alpinismo. Per farlo al posto di quel Cai che non sentono loro, fondano un’associazione tutta nuova, ma con una sigla storica. Il Ga, cioè Gap. Come i Gruppi d’Azione Partigiana, il braccio armato della Resistenza di sinistra.

La storia del Gap ascolano, a guardarla mezzo secolo dopo, è una meteora o poco più. I suoi soci organizzano dei corsi, formando altri ottimi alpinisti come Marco Florio e Giuseppe Fanesi. Ripetono tutte le vie del Pizzo del Diavolo, la più bella cima dei Sibillini, e poi iniziano ad aprirne di nuove.

Il Gap organizza serate culturali, con ospiti come Walter Bonatti. Cura una piccola guida alpinista del Pizzo del Diavolo. Si stringe intorno alla memoria di Tito Zilioli, morto nel marzo del 1958 dopo un’ascensione invernale sul Vettore. Poi, tre anni dopo l’uscita, i soci del Gap chiudono bottega per tornare nel Cai.

La storia del Gap ascolano, però, ha radici più lontane. Nel settembre del 1943, tra il Colle San Marco e la Montagna dei Fiori, degli impressati reparti partigiani combattono contro le truppe della Wehrmacht.

Tra caduti in battaglia e prigionieri, che poi vengono fucilati o deportati, le vittime sono una cinquantina. Qualcuno dei giovani che riescono a fuggire e a vivere si dedica alla montagna con passione. Uno di loro, William Scalabroni, diventerà l’anima ambientalista della rinnovata sezione ascolana del Cai.

Certo, Ascoli non è Sesto San Giovanni. Nella sinistra cittadina, da sempre, professionisti e insegnanti sono altrettanto numerosi dei lavoratori delle fabbriche. Eppure, nella storia dell’alpinismo piceno, gli operai un ruolo importante ce l’hanno.

Lavora in fabbrica Marco Florio, uno dei migliori alpinisti cittadini, che diventa sindacalista a tempo pieno. E’operaio Francesco Bachetti, che perde il lavoro nel 1972 dopo l’arresto per aver contestato un comizio del Msi.

Lavora come fabbro e meccanico Antonio Mari, che arriva all’alpinismo da autodidatta, non legge e non scrive relazioni, usa un’attrezzatura modesta ma arrampica in maniera straordinaria.

E’ Mari ad aprire delle vie su roccia “oltre il sesto” su pareti sconosciute come la Piramide del Vettore e i pilastri del Monte Priora. D’inverno, il suo capolavoro è il Fosso le Vene del Monte Sibilla, una serie di cascate che termina con un salto strapiombante.

Lo spirito ribelle di Ascoli, però, non riguarda solo chi lavora in fabbrica. Tra gli anni Settanta e Ottanta, quando gli ex-ribelli del Gap hanno ormai preso il potere nel Cai, parte dal capoluogo piceno la battaglia per difendere l’Appennino dagli sfasci.

Nel 1982, dopo una manifestazione contro il progetto di un poligono di tiro sui Sibillini, sono gli alpinisti e i camminatori ascolani a organizzare una marcia ambientalista da Campo Imperatore ai Prati di Tivo. Grazie a loro, nasce la battaglia per tutelate con un parco nazionale il Gran Sasso.

Tre anni dopo, quando a Frontignano, sui Sibillini, si manifesta contro i progetti di piste e ski-lift in Val di Bove, sono presenti Franco Bassanini, Antonio Giolitti, l’ascolano Massimo Teodori e Stefano Rodotà. Quattro uomini che, negli anni a seguire, sarebbero potuti diventare Presidente della Repubblica italiana. Poi, anche ad Ascoli, arrivano gli anni del reflusso. La sezione Cai, profondamente radicata in città, vive una vita più normale. L’antico spirito battagliero, però, cova sotto alla cenere. Nella primavera del 2018 il funerale di William Scalabroni, il ragazzo-partigiano del Colle San Marco, riporta alla luce bandiere rosse e militanti.

Negli stessi giorni Francesco Saladini, avvocato in pensione con un passato da alpinista e da militante radicale, dà alle stampe K2, la storia continua, un piccolo ma sorprendente libro in cui mette i puntini sulle “i”alla storia del K2 nel 1954.

Senza peli sulla lingua, e con la precisione chirurgica di un’arringa, Saladini critica le esagerazioni di Walter Bonatti e le oscillazioni del Cai nazionale. Ancora una volta, come negli anni del Gap e delle battaglie ambientali, Saladini mette intelligenza e passione al servizio del suo amore per i monti. A pubblicare il suo libro è la libreria Rinascita. Un nome che ad Ascoli Piceno conta ancora.

 

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A sinistra Tiziano Cantalamessa

 

Stefano Ardito, da “Inmovimento”, supplemento de Il Manifesto

 

 

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