La leggenda del monco

Secondo noi e secondo Hermann Hesse

 

fontana del Nettuno Piazza Roma ecomarchenews

 

di Leonardo Badioli

Ieri alla visita delle fontane di Senigallia, illustrate con timida freschezza da studenti delle medie superiori, ho ripassato nozioni che già possedevo, ma così nuove a sentirle dalla loro voce. Davanti alla Fontana del Nettuno, la giovane guida ha accennato all’oscurità delle conoscenze a proposito dell’opera, a partire dal dubbio se si tratti di un marmo dell’antichità o, come si usa dire di conserva, della mano manierista del Giambologna.

Il dubbio non è raro né spaesato: anche un putto del primo Michelangelo venne spacciato per antico perché trovasse meglio un compratore. L’ipotesi dell’antico, però, trascina con sé la leggenda del ritrovamento in mare, e con essa, il racconto che ne fa Hermann Hesse dal titolo Der Meermann, 1907, reso in traduzione italiana come “Il tritone. Da un’antica cronaca”.*

L’occorrenza di una statua “del Nettuno” in “una città sul mare, non grande ma antichissima, assai famosa e abitata da molte glorie dell’arte e della scienza” – secondo che dice il narratore – convinse più di un abitante di questa costa a riconoscere il racconto come vicenda che lo riguarda. Del resto non ci sono altre effigi marmoree del dio del mare lungo la costa dell’Adriatico, oltre a quella che si trova a Senigallia.

Questa città, nel racconto di Hesse, aveva edificato una chiesa sul posto in cui in antico sorgeva un tempio di Nettuno. La chiesa fu terminata e consacrata, visitata e guardata con orgoglio e gioia da tutti, tranne che dagli invidiosi abitanti della piccola città vicina”.

Fanesi? Iesini? – diciamo noi.

Venne però all’improvviso una tempesta spaventosa; molte barche affondarono vicino alla costa con l’equipaggio e tutto; e la pesante croce dorata che svettava sul campanile ne fu divelta, cadde, sfondò il tetto della chiesa e rimase appesa, rovinata e contorta, alle travi che reggevano il soffitto. A guardarlo dal basso, l’oggetto sembrava adesso avere forma di un tritone, tanto che chi guardava pensò a una vendetta dell’antico dio offeso.

“Ma no”, ribattevano altri, “è solo un caso, è solo fantasia!”

Ne nacque una forte controversia. Lo storico Salestris vi sostenne con estesa citazione dei classici e della patristica che ormai gli dei erano tutti morti, oppure fuggiti in ignoti deserti ed oceani di là dalla terra.

Per contro, l’oratore Cesario, pur rispettando il valore dell’avversario, si levò per fornire invece un elenco di cronache e resoconti da viaggi di mare che attestavano di avvenuti incontri umani con esseri marini di origine pagana.

Cessata la tempesta, i marinai superstiti tornarono alle loro occupazioni; ma qualche mattina dopo si videro donne spaventatissime dalla marina correre in città: un uomo, sì, un affogato, vicino alla riva, tutto coperto d’alghe, sì, un uomo, l’ha buttato il mare!

E tutti andarono con pale, reti, corde. Il corpo luccicante si vedeva sì e no, semicoperto dal flusso delle onde. Tutti stavano intorno ma nessuno osava avvicinarsi. I più impavidi, però, pur timorosi, provarono a smuoverlo per chiuderlo dentro una rete. Allora il naufrago si scosse e cacciò un urlo terribile; al che gli spettatori rimbalzarono all’indietro; come poi quei coraggiosi riuscirono a tirarlo a secco, ognuno poté vedere che l’essere che si divincolava aveva la coda al posto delle gambe.

“È un mostro! Un mostro marino! Sì, no, è un tritone!”

Qualunque cosa fosse, il naufrago fu legato, imbavagliato e caricato su un carro per portarlo in città. Tutta la folla intorno: “Ammazza, squarta!”,  gridava; nessuno però aveva cuore di muovere un dito.

Accorsero i maggiorenti e i due saggi discordi, si consultarono e decisero che meglio di uccidere il mostro sarebbe stato studiarlo; lo fecero dunque calare nella fontana della piazza, nella cui acqua subito il tritone si inabissò.

Fu convocato il consiglio comunale, presenti i due saggi discordi, cui fu dato il consenso e l’incarico di studiarci sopra, e anche di parlarci quando fosse possibile.

Ora, con tutto che la menzionata cronaca non sia ancora emersa da nessun archivio; con tutto che i nomi di un medico Salestris e di un oratore Cesareo siano noti a Hermann Hesse ma non alle cronache locali; con tutto che la fontana di Piazza Roma non sia così tanto favolosa da farci sprofondare un tritone al punto da non vederlo più, possiamo andare avanti nel racconto concedendo allo scrittore svizzero che ci abbia fantasticato sopra per renderla più bella: i due si sarebbero accostati alla fontana forniti di pane e pesci per pasturare il tritone sommerso in modo da convincerlo a venire fuori.

Ed eccolo che viene fuori per mostrare nel frattempo che si è sciolto da solo dalla rete e dalle corde che lo tenevano stretto. A quella vista i due dotti fanno il segno della croce e quello si permette una ironica risata.

Gli parlano in italiano, ma lui non capisce. Gli parlano in latino. C’è giusto lì un meridionale che conosce l’arabo: niente da fare. Il tritone a sua volta parla una lingua che potrebbe essere greco. Ma chi conosce il greco in questa città? C’è un altro medico, Caricle, nella città vicina, è uno che lo sa parlare.

Mica tanto contento Cesareo, lo mandano a chiamare, e mica tanto contento quello lì di aiutare la città nemica; ma se sganciano qualche soldo se ne può parlare.

Si presenta e si mette a parlare col tritone. Il tritone risponde.

“Bene”, osserva Salestris, “però non non sembrano le due loquele perfettamente uguali”.

“Avete orecchio fino”, risponde lo straniero. “lui parla greco antico, quello stesso di Omero”.

Il colloquio prosegue nel silenzio di tutti, dove solo due sono in grado di capire e nessuno degli altri ci capisce niente; dopo lungo parlare, però, il tritone dà segni di stanchezza: dice ancora qualcosa e si inabissa nel fondo della fontana.

L’interprete viene chiamato in municipio.

“Che cosa vi ha detto” vogliono  sapere.

Caricle riferisce. Ha detto che lui è un messo del dio Poseidone, quello stesso che noi in italiano chiamiamo Nettuno. Che sì, il dio è adirato perché  avete costruito sopra il suo il tempio di un dio straniero. Per questo ha scatenato quella gran tempesta, affondato barche, fatto morire persone, danneggiato il campanile e sfondato il tetto della nuova costruzione. Dice  che se provate a riparare il danno la vendetta del mare non avrà più limiti. Accetterà le vostre scuse solo se collocherete una sua statua sopra la colonna della fontana del mercato.

Oh, ma Piazza Roma è la piazza del governo, non quella del mercato. D’accordo. E poi: “Subito fu posta sulla fontana una statua bronzea di Nettuno”. Ma no! La statua è di marmo! Com’è, Hermann Hesse non l’ha vista?

Il buco sul tetto della nuova chiesa, però, non fu più riparato e per anni lasciò passare sole e pioggia, finché l’edificio divenne un rudere e poi sparì.

“Nel XVII secolo fu rimpiazzato da una bella chiesa in stile barocco”, conclude il racconto.

La Chiesa della Croce?

 

* si può leggere in Hermann Hesse, Dall’Italia e Racconti italiani, Grandi Tascabili Economici Newton, 1991, p. 272

 

fontana del Nettuno Piazza Roma ecomarchenews
La fontana del Nettuno in Piazza Roma a Senigallia

    

One thought on “Il monc’ in Piazza Roma

  1. Bravo Leo!
    Proprio non conoscevo questo racconto di Herman Hesse e mi ha fatto piacere conoscerlo attraverso la tua rilettura.
    Soprattutto, è molto accattivante il tuo modo di raccontare, con l’aggiunta anche un pizzico di ironia.
    Aspetto di leggerne altri.
    Giuseppe

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *