Viva l’Italia (e non solo)

 

La costa adriatica tra Senigallia e Ancona è un buon punto di osservazione su quanto si sta facendo o si intende fare in termini di riduzione dei gas serra in atmosfera e di mitigazione e adattamento al riscaldamento globale.

Già cinque anni prima della Conferenza di Parigi la UE aveva attivato il Programma di sviluppo delle tecnologie a bassa emissione di carbonio denominato NER 300. La Decisione del novembre 2010/670/UE definiva i criteri e le misure per il finanziamento di progetti dimostrativi su scala commerciale mirati alla cattura e allo stoccaggio geologico di CO2 nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione di gas che era stato istituito nel 2003.

E già nel 2011 era stato presentato ai ministeri competenti, e poi alla Regione Marche e ai comuni interessati, il progetto Sibilla per il sequestro di CO2 entro un’area sottomarina di 214 km2 prospiciente la nostra costa.

Per molti di noi abitanti della costa adriatica è stato quello il primo apprendimento su tutto quanto si stava facendo in sede comunitaria per limitare del 20% delle emissioni climalteranti entro il 2020.

Dopo un primo fugace interessamento alla questione da parte del Comune di Senigallia, tuttavia, non si era più parlato di questo progetto fino alla seconda metà del 2014, quando, sempre guardando il mare, apprendiamo
1) che la Conferenza di Parigi intendeva adottare una strategia di emissioni negative denominata BECCS, la cui seconda parte, CCS, era appunto lo stoccaggio di CO2 che si andava preparando sotto il nostro mare;
2) che la società proponente il Progetto Sibilla aveva ottenuto la concessione di esplorazione ipomarina e che si apprestava a compiere il secondo passo verso la concessione per l’esercizio.

La prima cosa che ci colpì leggendo il progetto, fu subito la dichiarazione, convalidata in sede di certificazione di compatibilità ambientale, che il pozzo di immissione Cornelia e l’intera area non erano interessate se non in misura minima a fenomeni di sismicità. Ma come – dicevamo – Cornelia insiste sopra una doppia faglia inversa che, sì, non aveva manifestato nessuna sismicità, ma si trovava ai margini di un’area storicamente sismica.

Decidemmo, il gruppo facebook VIVA IL MARE (no triv, no co2 e ch4 storage) e io, di promuovere una raccolta di firme che consentissero a tutti noi, sulla base della conferenza di Aarhus, di porre domande e chiedere chiarimenti. In questo modo però non riuscivamo a sciogliere una contraddizione: da una parte il rischio dell’inefficacia e il pericolo per le popolazione; dall’altro il fatto che il sequestro di CO2 era parte della strategia mondiale per ridurre la CO2 in atmosfera. Leggevamo i report scientifici, in massima parte americani, che parlavano di terremoti indotti e innescati, e la gran parte si incentrava proprio sulla potenziale sismicità del fracking e del CCS. L’anno cruciale era il 2012; e in Italia vedevamo che il messaggio non era né recepito né considerato.

Ogni volta che parlavo di terremoti di origine antropica rischiavo di perdere l’amicizia degli amici geologi – e questo per la verità succede anche oggi, nonostante il terremoto dell’Emilia del 2012 avesse dato luogo prima alla Commissione ICHESE e questa il Rapporto ISPRA del 2014 sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività antropiche e sismicità indotta / innescata.

In particolar modo si disse che in Italia non era distinguere un movimento tellurico di origine antropica rispetto a uno di origine tettonica, data la frequenza di questi secondi; e tuttavia venivano indicati un certo numero di terremoti come certamente o probabilmente ingenerati da attività umane.

Non so se questi aspetti siano stati considerati dall’IPCC o dalle autorità Europee, ma per quanto riguarda noi che viviamo in riva all’Adriatico, sappiamo che il nostro mare risulta particolarmente vocato ad accogliere reservoir pieni di CO2.

Chi si spese per ricordare che in Italia i terremoti indotti erano da considerarsi “i grandi sconosciuti”, ossia Marco Mucciarelli; ma questo non toglie che il suo Istituto, OGS di Trieste, sia quello che più si sta impegnando nel progettare impianti di Stoccaggio della CO2. Ma la stessa valutazione del rischio sismico, della quale Mucciarelli denunciò il vuoto normativo, viene intesa sempre in funzione di monitoraggio, e non considerato come riferimento ostativo nelle procedure di autorizzazione.

A un certo punto abbiamo tentato di risolvere i nostri dubbi in questo modo: d’accordo, possiamo correre il rischio di qualche terremoto se l’obiettivo è quello di salvare il mondo dall’autocombustione; la domanda successiva, però era diventata questa: a vantaggio di cosa dobbiamo correre questo rischio?

Risposta n. 1: l’asta delle Emission Trading finanzierà la decarbonizzazione;
Risposta n.2: la Cattura di CO2 è particolarmente vocata alla ripulitura del Carbone o all’intercettazione dei gas degli inceneritori. Ma noi vogliamo transizioni alle rinnovabili, non potenziare l’uso del carbone, e in quanto ai rifiuti, noi prima di tutto ricicliamo.

Se il riferimento è a COP 21, al di là della soddisfazione per avere superato l’impasse di Copenaghen, che è già gran cosa, rammento le carenze, per esempio con le parole di Kevin Anderson – due tra tante: “nella risoluzione non ci sono riferimenti ai combustibili fossili, né si parla di decarbonizzazione; non si parla delle tecnologie delle emissioni negative, eppure si base su queste come presupposte.

All’atto pratico, poi, l’azione dell’INGV non ci è parsa libera da condizionamenti. I NO TRIV ne criticano l’accordo con i produttori. Del resto, possiamo chiedere a un Ente Nazionale come l’INGV di supportare una politica diversa da quella che gli viene affidata? O una politica diversa di quella che deriva da COP 21 e dalla UE?

Mi fermo qui nella speranza di non avere detto sciocchezze e con desiderio che questo dubbio venga sciolto. Al presente possiamo conoscere i problemi e il modo di affrontarli, ma di quello che accade concretamente non ci è dato sapere se non a prezzo di lunghe ricerche.

Sappiamo che i titolari di Sibilla non hanno effettivamente fatto niente dopo avere ricevuto l’autorizzazione. Il progetto è ancora attivo? Ce ne saranno altri in Adriatico? E poi: ci daranno un premio per avere contribuito a ridurre il procedere vertiginoso del riscaldamento globale?

 

Foto molo ecomarche
molo di Senigallia. Foto di Francesco “Bont” Buontempi

 

 

Note a margine di un convegno sul clima tenutosi a Marina di Montemarciano la sera del 1 giugno scorso

 

ADATTAMENTI

e… la rinuncia a parlare dei terremoti indotti dagli stoccaggi previsti in Adriatico

No, non era il luogo e l’ora. A Marina di Montemarciano il menu preparato da Fuoritempo e da altre associazioni prevedeva un climatologo che lavora a Copegnaghen e si occupa di ADATTAMENTO al mutamento del clima, non di limitazione delle cause del riscaldamento globale. Dunque abbiamo ascoltato ma le cose che volevamo dire sono rimaste sul foglietto degli appunti, buone comunque per continuare ad occuparci della radice del problema che ci sta a cuore.

L’uomo, Sergio Castellari, è di qualità e di buone conoscenze, e il tema importante e concreto: bisogna sapersi difendere dalle nuove condizioni climatiche: questo a prescindere da dubbio se ne verremo fuori. Loro chiamano questo “resilienza” (quasi tutto ormai si chiama resilienza).

Ma certo il tema dell’ADATTAMENTO non riesce a nascondere una specie di rassegnazione. In mezzo al discorso il relatore si lascia sfuggire un giudizio severo sulle decisioni assunte dalla Conferenza di Parigi, ma non affronta il tema perché nella divisione dei saperi il compito non spetta a lui. Gli spetta invece di dirci che la presenza di CO2 è arrivata a 410 parti per milione, con una progressione che quasi la raddoppia rispetto ai tempi della prima industrializzazione; trascura però di ricordare che l’impennata recente corrisponde pari pari alla ripresa economica degli ultimi due anni: segno evidente che la crescita al carbonio comporta trasformazioni che tendenzialmente rendono invivibile il pianeta.

L’aumento della CO2 contestuale all’arco della crescita dimostra anche che affidare al mercato delle emissioni la loro riduzione significa alimentare solo false speranze. In questa prospettiva anche le tanto auspicate “buone pratiche” finiscono per ridursi a diete igieniche a favore dei divoratori della biosfera (che il ciclotimico Ceronetti non senza motivo chiamava “tanatosfera”).

L’altra cosa che balzava all’occhio, e anche all’orecchio, è stata la cornice dell’avvenimento, invariabilmente attaccata al chiodo di una politica che ancora non si è resa conto della propria nullità: amministratori vanitosi del loro costosissimo nulla e associazioni pubblicamente mantenute di belli e buoni che transennano gli orti della loro ignoranza, clamorosa se solo pensiamo al flemmone che ci sta scoppiando dentro.

Più che mai l’adattamento che ci propongono si riempie di rassegnazione: al fatto per esempio che rinunciamo a parlare dei terremoti indotti dagli stoccaggi previsti in Adriatico. Qui torna il quesito che più di ogni altro ci dobbiamo porre a proposito del rischio sismico connesso con gli stoccaggi geologici che ci stanno scialappando come soluzione di ogni cosa: siamo anche disposti ad affrontare rischi, ma con la certezza che questi non servano per continuare a inquinare l’aria fino a renderla irrespirabile.
Questa certezza fino ad oggi non c’è.

 

Leonardo Badioli e Catia Fronzi

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