Nel fascia sud del Sahel, in Mali

vive un antichissimo popolo

 

a piedi nella terra dei dogon

 

Se qualcuno mi chiede del mio viaggio in Africa, una quantità di emozioni ancora fresche mi assalgono, devo fare ordine, sono troppe non so da che parte incominciare.

Intanto il luogo: abbiamo visitato il Mali ed in particolare la fascia sud del Sahel, curiosi di incontrare un antichissimo popolo, i Dogon, con i suoi tipici insediamenti lungo la falesia di Bandiagara; occupano un territorio vastissimo che va dall’altopiano roccioso della falesia, a scendere fino ad una valle immensa, la piana, con tratti di deserto e dune.

Decidiamo di perlustrare la vasta zona a piedi, e questo fa la differenza! Il nostro gruppo di quattro persone è accompagnato da una guida Dogon, da un cuoco e da un affascinante Tuareg dotato di grande ironia che ci fa da autista per raggiungere le città all’inizio ed alla fine della settimana. Già: una settimana, ma così intensa da sembrare un tempo assai più lungo. La sensazione è di calarci in una terra senza tempo, la lentezza della marcia ci permette di assaporare ogni dettaglio del paesaggio, di ubriacarci di fotografie, di fare incontri pittoreschi e inaspettati.

Il clima caldo ma asciutto ed un piacevole vento fanno sì che la marcia non sia mai faticosa. Dormiamo accampati sopra il tetto a terrazza delle case fatte in terra battuta, à la belle étoile, ed il cielo è veramente sconvolgente. Ci addormentiamo così, chiusi nei nostri sacchi a pelo, con quello spettacolo sopra la testa, e non ci sembra vero. Le ultime due notti, quando raggiungiamo Djenn e poi Mopti, dormire sotto soffocanti zanzariere in afose stanze ci fa subito rimpiangere quel cielo stellato.

Arrivare a piedi in sperduti villaggi di gente sorridente e ospitale, poverissimi ma talmente in simbiosi con ogni risorsa della terra e così rispettosi di ogni singolo seme o foglia che la natura fornisce (i Dogon in Mali rappresentano una minoranza di religione animista) da fare riflettere molto noi, ricchi, spreconi e scontenti ! Gruppi festosi di bambini bellissimi ci accompagnano alle soglie di ogni villaggio, e quelli te li porti nel cuore per sempre. E le donne, maestose, coloratissime, sempre con un grande recipiente d’acqua in equilibrio sulla testa ed un bambino piccolo legato alla schiena…

Sono infaticabili, cominciano il mattino presto a pestare il miglio in grandi mortai. Coltivano piccoli appezzamenti di terra rubata alla sabbia, e per irrigare sono costrette a fare lunghi tratti trasportando l’acqua da pozzi o ruscelli. “Sono le donne che usufruiscono del microcredito”, ci racconta un volontario francese che opera da vent’anni nel territorio: sono le più affidabili e riescono a fare piccoli miracoli. Sono bellissime, vorresti fotografarle tutte, ma un senso di rispetto e di pudore ridimensiona la febbre da macchina fotografica. Tutto gira attorno all’acqua, ogni rito ancestrale, ogni semplice gesto quotidiano legato a questo elemento così abusato nella nostra parte di mondo da indurci ad un’ulteriore riflessione.

La  mattina incontriamo i bambini che raggiungono perlopiù scalzi la scuola ed ognuno porta sulla testa un recipiente con l’acqua.

Quasi ogni villaggio, anche il più sperduto, ha la sua scuola. Conosciamo alcuni maestri (giovanissimi e volenterosi) orgogliosi di mostrarci la loro classe e i quaderni

che mi sembrano molto ordinati. I bambini sono tutti concentrati nei loro esercizi alla lavagna: si scompongono in allegra caciara solo quando il maestro si rende disponibile per farci fare tutte le foto che vogliamo.

Oltre a questo, è bello vedere come in ogni villaggio convivano naturalmente la moschea e la chiesa cattolica; e anche in questo i Dogon rappresentano un raro esempio di saggezza e tolleranza. E che dire degli incontri! Una lunghissima e coloratissima carovana di gente di ritorno da un mercato… una visione ! E gli alberi… le acacie onnipresenti, i baobab, maestosi come creature di favola, la varietà del paesaggio man mano che avanziamo…e il rosso mattone in ogni sua variante, della falesia, della terra , della sabbia.. Un giorno incontriamo sul nostro cammino una nomade di etnia peul intenta a costruire il ricovero per la notte, una capanna fatta di canne che prepara con veloce maestria.

E’ sorridente e disponibile, e ci racconta in un ottimo francese il significato del tatuaggio che ha intorno alla bocca e degli ornamenti della sua giovane figlia. Anche lei, curiosa sopratutto di noi donne, ci crede molto giovani (bontà sua). Sorridiamo quando la guida le racconta che da noi c’è la neve e che la gente se si incontra per strada nemmeno si saluta… ne rimane seriamente colpita! Indimenticabili i mercati. La nostra guida ci porta in quelli più belli, senza l’ombra di un turista. Un’orgia di suoni e colori, odori forti, ogni tipo di mercanzia ed una tale varietà di umanità da non avere abbastanza occhi per abbracciarla tutta.

Prego e spero che questa gente possa continuare a testimoniare la propria cultura secolare che è un bene prezioso per tutta l’umanità; che possano prosperare e migliorare le loro condizioni, e soprattutto che il vento velenoso del fonda- mentalismo non contamini mai questo popolo pacifico ed accogliente.

 

Roberta Marzola

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