I dilemmi etici dei padri della bomba atomica

Unica data nelle Marche

Una scena dello spettacolo. Foto di Marco Caselli

A venti anni dalla sua prima rappresentazione arriva al Teatro La Fenice,mercoledì 16 gennaio, unica data nelle Marche, COPENAGHEN, di Michael Frayan.

Copenaghen è diventato ormai un classico del teatro contemporaneo grazie ai protagonisti, tre indiscutibili maestri della scena teatrale italiana, Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice che sanno mettere in evidenza i diversi piani di lettura e interpretare i personaggi dando risalto alle loro infinite sfaccettature psicologiche, nella storica regia, sobria ed elegante, di Mauro Avogadro.

In un luogo che ricorda un’aula di fisica, immersi in un’atmosfera quasi irreale, due uomini e una donna, parlano di cose avvenute tanto tempo prima, quando tutti erano ancora vivi. Sono gli scienziati Niels Bohr (Orsini), sua moglie Margrethe (Lojodice) e Werner Heisenberg (Popolizio). Il loro tentativo è di chiarire che cosa avvenne nell’ormai lontano 1941 a Copenaghen, quando improvvisamente il fisico tedesco Heisenberg fece visita al suo maestro Bohr in una Danimarca occupata dai nazisti. Entrambi coinvolti nella ricerca scientifica, ma su fronti opposti, probabilmente vicini ad un traguardo che avrebbe portato alla bomba atomica, i due scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr; il soggetto di quella conversazione ancora oggi resta un mistero e per risolverlo la Storia ha avanzato svariate ipotesi.

Su questi presupposti, l’autore dà vita ad un appassionante intreccio in cui i piani temporali si sovrappongono, offrendo un valore universale alle questioni poste dai protagonisti, dominati da un inarrestabile desiderio di conoscenza. Le diverse ipotesi concepite all’epoca vengono qui enunciate una dopo l’altra, riproponendo i possibili incontri tra i due fisici. Una sola verità non è possibile e nemmeno una sintesi efficace delle diverse ipotesi perché ciascuna è semplicemente un punto di vista di chi l’ha enunciata. Tutto è umano, niente è assoluto.

Copenaghen è quasi un “processo privato” a porte chiuse – spiega Mauro Avogadro – porte che di continuo si aprono proiettando i personaggi verso luoghi e azioni del passato. Luoghi mentali, forse, ma per noi tutti reali: la bomba atomica, il genocidio, la funzione positiva, e al tempo stesso pericolosa, della scienza.”

Da vedere perché: teatro di una semplicità disarmante e di un’intensità espressiva senza pari, adatto a un pubblico trasversale.

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