Dopo l’installazione delle sculture “Donna al sole” di Romolo Augusto Schiavoni, di fronte al Palazzo Nuova Gioventù, e la “Grande Eva” di Silvio Ceccarelli, ai Giardini Catalani di Senigallia, il progetto del Museo Urbano di Scultura dell’Adriatico si è arricchito di due nuove opere: “Viaggiatore di terza classe”, ancora di Ceccarelli, e “Anacreontica” di Enrico Mazzolani.

“Con il progetto Musa – afferma il sindaco Maurizio Mangialardi – puntiamo alla creazione di un affascinante percorso artistico di scultura urbana, unico nel suo genere, capace di valorizzare lo straordinario patrimonio monumentale della città e fare di Senigallia un punto di riferimento nell’ambito della Macroregione Adriatica per ciò che concerne gli investimenti sulla cultura e sull’economia della bellezza. Ma le nuove installazioni, oltre a rappresentare un ulteriore tassello nel processo di riqualificazione del centro storico, vogliono anche essere l’omaggio giusto e meritato a due grandi scultori senigalliesi del Novecento: Silvio Ceccarelli ed Enrico Mazzolani”.

Il ceramista e scultore Enrico Napoleone Mazzolani nasce a Senigallia nel 1878. Muore a Milano nel 1968. Il Corriere della Sera, a firma dello scrittore Dino Buzzati, gli dedica un importante Coccodrillo. 

 

ESEMPLARE LUNGO CAMMINO DELLO SCULTORE MAZZOLANI

E’ morto a 93 anni un gentiluomo puro di cuore che per restare fedele al suo ideale d’arte aveva sempre lottato, sorridendo, con la povertà, l’incomprensione del mondo e le asprezze della vita

 

di Dino Buzzati

A novantatrè anni è morto ieri mattina, all’ospedale di Niguarda, lo scultore Enrico Mazzolani, “decano” di Bautta. A Bautta, il menu dedicatogli da Mario Vellani Marchi, uno dei primi, è appeso al posto d’onore, nell’angolo dove sedeva sempre, e oggi siede raramente, il fondatore del cenacolo Riccardo Bacchelli.
Per il piccolo mondo di Bautta la partenza di Mazzolani è un segno molto triste. Come quando nella famiglia patriarcale muore il vecchissimo nonno e all’improvviso i nipoti si accorgono che la giovinezza è passata per sempre.
Almeno da quando l’avevo conosciuto io, una trentina d’anni fa, sembrava il sosia di Bertrand Russell. Magro, fragile, eppure fortissimo di fronte alla vita, alle fatiche, alla povertà, alla solitudine, alle disillusioni.
Era nato a Senigallia, da una famiglia patrizia, e da ragazzo era vissuto in agiatezza. A vent’anni lasciò casa e famiglia, e da allora si dimenticò di essere barone, la sua esistenza divenne una continua lotta per obbedire strenuamente al suo ideale d’arte, non scendere a compromesso con le lusinghe di un facile mercato, non cedere alle successive mode, rimanere imperterrito se stesso.
Ma era un puro di cuore come pochi, tanta forza d’animo si nascondeva in una natura estremamente garbata e aristocratica. Anche nei momenti più spinosi del suo viaggio un po’ zingaresco, sapeva sorridere e scherzare. Tre giorni fa, sentendo che le ultime forze lo abbandonavano, disse al medico: “Si ricorda, dottore? Due anni fa io le chiedevo ancora due anni di vita, e lei me li ha dati. Oggi le chiedo soltanto altri due giorni”.
Col tempo era diventato un personaggio patetico e pittoresco. E il segreto cruccio di lui e della seconda moglie, Pierina Gandini, meravigliosa compagna, di molti anni più giovane di lui, era che la gustosa aneddotica finisse sempre per far dimenticare la sua arte. Immancabile, nel repertorio, era la rudimentale ricostruzione, eseguita dalle sue stesse mani, dello studio devastato dalle bombe, nel cortile di via Borgonuovo 21. E ancora più immancabile l’episodio dell’”infinito”, quando Mazzolani, andato dal direttore di una banca alla scadenza di una brutta cambiale, gli offrì, come pagamento, una statua, e quello gli chiese che statua fosse, lui rispose che era intitolata “L’infinito” e il direttore: “Quello di Leopardi?”. “Proprio quello”. Allora il direttore della banca, rapito dai ricordi della giovinezza, cominciò: “Sempre caro mi fu…” Cosicché, nel gelido ufficio bancario, come nei vecchi film di Franck Capra, si creò un incantesimo di bontà, si arrestò addirittura il lavoro, mentre i due, togliendosi l’un l’altro di bocca il verso successivo, declamavano commossi la celebre poesia. E la cambiale, occorre aggiungere? fu senz’altro sistemata.
Ma, se ci si potesse leggere, qui Mazzolani comincerebbe a corrugare le cespugliose bianche sopracciglia, domandandosi: Possibile che anche quest’ultima volta la mia arte sarà liquidata con un benevolo, frettoloso accenno nelle ultime righe? No. Mazzolani era un autentico e schietto artista, tanto è vero che, pur assistendo, nel suo lungo cammino, al sorgere, trionfare e tramontare di tante nuove scuole, restò fino all’ultimo fedele al proprio stile naturale, in cui aveva trovato se stesso ai tempi del Liberty, di Modigliani, di Klimt, di Schiele, di Bistolfi, di Wildt. Le sue leggiadre donne longilinee e magrissime, languide e insieme vibranti, esili fiori sinuosi, resteranno esemplari. Stilizzava, è vero intensamente, senza però sacrificare la verità e l’evidenza plastica dei corpi, senza sfuggire le difficoltà, senza disperdere la forza e l’espressione umana delle figure. Statue che proprio il gusto di oggi si direbbe debba spontaneamente rivalutare, traendole dalla dimenticanza e dalla polvere per collocarle, come squisite e un po’ morbose creature nelle case più eleganti e sofisticate.
Nel suo appartamento, al quinto piano di via Inbonati 89, che è una delle strade più lugubri d’Europa, casa modestissima ma gremita di ricordi fa tenerezza vedere il pentolino di gesso con cui, ancora quattro giorni fa, prima che la polmonite lo costringesse all’Ospedale, stava ritoccando una statuetta.
Solo da un anno aveva dovuto sospendere la quotidiana applicazione al lavoro. E così era rimasta incompiuta una grande “Maternità” ch’egli si prometteva di dedicare alla città dove era nato. Questo, sull’estremo limitare, era il suo grande rimpianto, assai più che la oscura sorte di due lunghi romanzi, in gran parte autobiografici, rimasti sempre inediti: “le donne di maiolica”, scritto dal 1934 al 1937 (dei sei tomi manoscritti di cui si componeva, quattro furono distrutti dal bombardamento dello studio) e “il conte Onori”.
Nel novembre scorso aveva scritto certe “disposizioni minime” in caso di morte. Niente drappi colorati alla porta di casa, niente intralci al passaggio. “…Affido il mio trapasso al conforto di un solo sacerdote quando sarà giunto il momento. Dispenso dall’inviare corone e fiori. Basterà una breve veglia presso il mio studio di via Brivio 17 come saluto al posto ove per anni rimasi fedeli alla mia arte e con Dio, confortato dalla pazienza e dalla bontà di gente amica”.
In un prima versione di questo breve testamento spirituale aveva espresso il desiderio che il funerale – partirà dall’Ospedale di Niguarda alle 15.45 di oggi – fosse seguito dall’amatissima Diva, il suo pastore tedesco. Poi, nella sua delicatezza e modestia di gran signore, gli era parsa una ostentazione fori posto. E aveva cancellato le righe.

 

Buzzati ricorda Mazzolani
Dino Buzzati

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