“Improvvisamente, ecco le belle donne, già a Pescara, e poi, trionfanti, a San Benedetto, a Falconara, a Senigallia… incontrastate protagoniste, le padrone, le regine, le amazzoni. Non c’è più gruppo di ragazzi tra cui non ci siano anche delle ragazze, abbronzate, efebiche, intelligenti, carine. Poveri branchi di maschi del Sud!” (P.P.P)

 

 

Senigallia raccontata da Pasolini

 

Senigallia raccontata da Pasolini

 

PIER PAOLO PASOLINI, La lunga strada di sabbia, 1959

 

Che cos’è che segna il passaggio dal Sud al Nord? Sì, c’è una lunga sfumatura intermedia, gli alti Abruzzi e le Marche: eppure certi mutamenti sono repentini. Compaiono ad un tratto le biciclette, compaiono ad un tratto le insegne del metano: ma soprattutto compaiono ad un tratto le belle donne.

Non voglio insinuare che nel Sud non ci siano belle donne; io, comunque, in centinaia e centinaia di chilometri di litorale, non ne ho viste. Ho visto delle femminucce nere e ineleganti, delle adolescenti gelatinose. Improvvisamente, ecco le belle donne, già a Pescara, e poi, trionfanti, a San Benedetto, a Falconara, a Senigallia… Finché, nella costa romagnola diverranno addirittura le uniche, incontrastate protagoniste, le padrone, le regine, le amazzoni. Non c’è più gruppo di ragazzi tra cui non ci siano anche delle ragazze, abbronzate, efebiche, intelligenti, carine. Poveri branchi di maschi del Sud!

[…]

Sulla spiaggia di Senigallia, il trionfo della pensione: della pensione, non della famiglia. Sotto gli ombrelloni sono adunati insieme gli ospiti degli stessi villini novecento, in discussioni che non tradiscono uno solo dei luoghi comuni dell’istituzione linguistica borghese: e, per questo, conservano a ognuno il suo ambito mistero. Ecco il professionista brizzolato ma ancora sportivo; ecco la signora vedova, con un enorme, straordinario turbante giallo, e un accappatoio giallo tirato su come una tunica: va immobile ad armeggiare con la sdraia, patita, misteriosa, scostante e perduta come una Marlene Dietrich. Dai megafoni della grande spiaggia fitta di capanni e ombrelloni, escono scandite le note di un tango arcaico.

Questa gente sui cinquant’anni conserva la vita esattamente come a loro pareva, ideale, quando ne avevano trenta: qui c’è un’aria di immediato anteguerra, quando appunto i cinquantenni di ora cominciavano a essere degli arrivati, a ordinare per sé una vita già ben preordinata: il giallo del turbante della signora matura e misteriosa, è giallo banana: il sorriso del professionista cinquantenne ricorda le vittorie al giro di Francea di Bartali.

Mi distendo al sole, visto che sono bianco come uno yogurt, dopo tanto girare per le spiagge. 

Nell’intontimento dell’odiosa bisogna estiva, brusisce intorno a me l’intera spiaggia, col tiepido rumore della risacca. Afferro frasi isolate, punte espressive. Ecco da un ombrellone qui accanto un accurato “Buon pranzo!”. È una voce fiacca di giovanotto, che dopo un po’ però risuona di nuovo con “Il mio sesto senso…”, e una voce trionfante di signora: “gli zoccoli… e anche Selezione, il libro di Selezione…”. Ma più in là, un’altra voce si alta a ricoprire le altre, perentoria: “Enrico, non andare a bagnarti. Enrico!”. Poi da un lungo chiacchiericcio di ragazze diciottenni, studentesse di magistrali e di licei dei dintorni, si alza, definitiva, la clausola: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace!”.

È l’ora di pranzo: sono scosso brutalmente da un fischietto che sibila con inaudita, rabbiosa insistenza: mi alzo sul gomito, guardo: tra le sdraie, tra gli ombrelloni passa uno scagnozzo canuto, col berrettino marinaro, che soffia nel fischietto, e urla: “È  mezzogiorno, è mezzogiorno!”. Ricorda in nome del padrone ai pensionanti che la tavola è imbandita, con un vecchio astio per l’annoso problema del ritardo, che fa raffreddare gli spaghetti. 

 

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