Poesia dello sguardo

Per Giacomelli la fotografia equivale a poesia

 

Per me che uso la macchina fotografica è

interessante uscire dal piano orizzontale

della realtà, avere la possibilità di un dialogo

stimolante perché le immagini abbiano un respiro

irripetibile.

Riscrivere le cose cambiando il segno, la conoscenza

abituale dell’oggetto, dare alla fotografia una pulsazione

emozionale tutta nuova.

Il linguaggio diventa traccia, necessità, spirito

dove la forma si sprigiona non dall’esterno ma

dall’interno in un processo creativo.

Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco mangiato,

il nero chiuso sono come esplosione del pensiero

che dà durata all’immagine, perché si spiritualiz-

zi in armonia con la materia, con la realtà

per documentare l’interiorità, il dramma

della vita.

Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione

tra luce e neri ripetuta fino a significare.

Prima dello scatto c’è uno scambio silenzioso

fra oggetto e anima, c’è un accordo perché la

realtà non esca come da una fotocopiatrice

ma venga bloccata in un tempo senza tempo

per sviluppare all’infinito la poesia dello

sguardo che è per me forma e segno

dell’inconscio.

Il linguaggio è così la coscienza espressiva

interna che ha accarezzato la realtà pur

rimanendo fuori, è l’attimo originale testimone

di una realtà tutta mia, un prelievo fatto sotto

la pelle dell’oggetto, guidato fuori dalle

regole per una libertà che è anche allargamento

alle possibilità del reale.

    Mario Giacomelli

 

 

manoscritto_Giacomelli ecomarchenews

 

Versi, ovvero qualcosa che comincia, finisce e non può andare a capo e che conosce e deve conservare il privilegio di vivere ed esistere a prescindere da ciò che lo precede e da ciò che gli succede.

Versus non prorsus: non si può tornare indietro, ogni volta si muore, tutto finisce. La misura della poesia e anche della fotografia per Giacomelli è nel tragico, in ciò che deve comunque morire: lo scatto è morte, il consumarsi istantaneo di una vita, di una sensazione che può ritrovarsi solo in un altrove.

Gli altri o quel se stesso che è comunque altro. Per Giacomelli la fotografia equivale a poesia; le sue serie contano e passano per i poeti: Leopardi, Masters, Luzi, Montale, Turoldo. Sì, Giacomelli trova la poesia con la fotografia e nella fattispecie la fotografia con la poesia.

I suoi occhi sono chiusi, “occhi fasciati” come prima dei suoi scatti, come dopo i suoi versi. Una camera oscura della morte.

Tutto ciò che è fuori diventa un dentro: corpo dell’anima. Tutto ciò che è dentro un fuori: anima del corpo. Le foto di Giacomelli sono ostie nella forma, nella sostanza, nella fragilità. Frammenti reali di una salvezza, di una possibilità che può toccarsi e vedersi. Di una parola come foto, di una foto come parola.

 

libera riduzione da Alfio Albani in “I piccoli inediti”, Galleria Portfolio Artecontemporanea

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