Pesaro ospita “The Life”, ultima opera di Marina Abramovic: prima performance della storia in una doppia dimensione, fisica e digitale

di Angelo Molica Franco

Il problema, come al solito, è lo sguardo. Se è vero, come è vero, che al pari della vita, la morte è ovunque, se dunque la prima è una corsa più o meno lunga un numero non prevedibile di anni che ciascuno compie tra inciampi e gioie, la seconda sarà l’inesorabile finale di tutto? Se, cioè, allargando così tanto il sentimento della vita, essa fosse capace di comprendere persino la morte? Prova a farlo Marina Abramovic, artista totale nell’opera immersiva che non a caso si intitola The Life a cui è possibile assistere in prima nazionale fino al 18 giugno al Centro Arti Visive Pescheria nel cuore di Pesaro, come parte del palinsesto di “Pesaro 2024 – Capitale italiana della cultura”. Prodotto da Tina Drum con la regia di Todd Eckert (compagno dell’artista ndr), The Life è il primo evento di arte performativa in realtà mista mai concepito, che giunge in Italia dopo essere stato presentato alla Serpentine Gallery di Londra nel 2019 e aver fatto visita alle maggiori capitali mondiali. Considerata a ragione un capolavoro vivente, Marina s’interroga sul proprio destino: “il mio lavoro si basa sulle arti performative – racconta a proposito di The Life – e questo è il mio primo esperimento, il mio primo tentativo di utilizzare le nuove tecnologie e di ampliare l’idea di come le arti performative possano essere viste in futuro, se l’artista non è più fisicamente presente”.

Nata a Belgrado nel 1946, Abramovic ha fatto della crisi della presenza in tutte le sue declinazioni il maelstrom delle sue performance: lei che si fece trovare legata in una stanza con diversi oggetti di piacere e di dolore alla mercé di un gruppo di spettatori per vedersi alla fine una pistola puntata contro (in Rhythm 0); lei che instancabilmente puliva un cumulo di ossa dal sangue (Balkan Baroque); lei che saliva scale fatte di lame a piedi nudi (in The Ocean View); lei che è rimasta al Moma di New York per tre mesi immobile seduta di fronte a sconosciuti spettatori (in The Artist is Present).

Così, sempre più ostinata a penetrare a fondo quel limbo tra inizio e fine chiamato eternità, in The Life l’artista propone per la prima volta nella storia dell’arte una performance in una doppia dimensione, fisica e digitale: liberatisi di ogni dispositivo elettronico e indossati i visori per la realtà aumentata, si vedranno i confini di una stanza vuota al cui centro si muove l’ologramma di Marina vestita di rosso, che con la devozione di una sacerdotessa all’interno di un rito, come al suo solito, spaventa e incanta insieme. La connessione umana resta altissima da parte del pubblico che può spostarsi e osservare la performance da diverse angolazioni e punti di vista.

Che abbia così trovato il segreto dell’immortalità, seppure nell’arte? La tecnica per moltiplicare i confini della memoria? Il modo di sconfiggere, o almeno di ingannare, il tempo? Lei ci crede! Del resto, ha anche anni addietro creato l’Abramovic Longevity Method, basato sull’importanza di ritrovare l’armonia interiore e la nostra spiritualità, che oltre a insegnare tecniche di meditazione e respirazione – le stesse che l’hanno aiutata l’anno scorso a sopportare i dolori di un’embolia polmonare cui è scampata per miracolo -, presenta una gamma di prodotti antietà, come una lozione antirughe che agli oli essenziali e all’acido ialuronico mischia pane, vino bianco, semi d’uva e bulbo d’aglio.

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