Come un evento del 1895 avrebbe potuto cambiare la storia

di Rossano Morici

Copertina della rivista Marca/Marche n. 17/2021 dal titolo «Epidemie nell’Italia centrale, dalla peste e
colera, dalla spagnola al covid» (modificata dall’autore).
Figura 1. Primi malati di influenza spagnola nel Kansas USA, 1918.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pandemia_influenzale

Nel numero monografico n. 17/2021 della rivista di storia regionale Marca/Marche, Andrea Livi
Editore, Fermo, sono presenti numerose ricerche che riguardano le «Epidemie nell’Italia Centrale,
dalla peste e al colera, dalla spagnola a covid». Tra queste la mia ricerca dal titolo «Epidemie e
pandemie. Ambiente e contagi nel tempo (sec. XIX-XXI)», consultabile e scaricabile in PDF dal
sito della biblioteca comunale Antonelliana di Senigallia:
https://www.comune.senigallia.an.it/biblioteca/wp-content/uploads/sites/3/2022/01/Epidemie-e-
Pandemie.pdf

Intendo qui analizzare alcuni aspetti del capitolo relativo alla Spagnola per la sua analogia con la
pandemia SARS-CoV-2 (Covid 19) ed aggiungerne altri non presenti in quel lavoro.
Il primo è una nota autobiografica. Nell’immediato secondo dopoguerra abitavamo in un
appartamento in Corso Persiani a Recanati (ora trasformato in Ufficio delle Poste), dove ho
trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza.
Ho un grato ricordo del dottor Armando Bettini, uomo colto e noto ai concittadini per i suoi studi
storici sulla città, Ufficiale Sanitario nel primo dopoguerra, e particolarmente vivo per il fatto che
aveva chiamato al suo fianco mio padre Attilio Morici, persona umanissima di modi verso la
famiglia e verso i concittadini.

Attilio collaborava con l’Ufficiale Sanitario per risolvere i tanti problemi che Recanati, come le
altre città italiane, poteva avere dopo il devastante secondo conflitto mondiale. Ero molto
orgoglioso di mio padre che indossava la divisa di Vigile Urbano e contemporaneamente svolgeva
le mansioni di Vigile Sanitario. Il duplice incarico gli permetteva di espletare una molteplicità di
funzioni molto diverse l’una dall’altra, sapendo comunque tenere ben separati i due compiti, che
svolgeva con competenza e passione.
Il dottor Bettini – rammenta la breve biografia che di lui traccia la prof. Lavinia Palmucci Rizzoli in
uno scritto del 1974: una breve biografia del medico che qualche tempo fa ho ricevuto direttamente
dalla dottoressa Laura Bettini, sua figlia – era nato a Macerata il 28 luglio 1883; compiuti gli studi classici frequentò la Facoltà di Medicina presso l’Università di Roma e ivi si laureò nel 1908
discutendo la tesi Sui movimenti dell’intestino che gli valse il Premio della Fondazione Girolami.
Esercitò per oltre cinquant’anni la professione di medico condotto, assistente e direttore
dell’Ospedale civico fino al 1955 e ricoprendo nel contempo il compito di Ufficiale Sanitario del
comune di Recanati dal dopoguerra al 1955. Ebbe inoltre molteplici incarichi quali Consigliere e
medico della Società Operaia Maschile, Presidente dell’Associazione di Pubblica Assistenza,
Consigliere della Croce Rossa locale, Consigliere degli Istituti di Cura e Ricovero, Deputato della
Congregazione di Carità, Consigliere della Cassa di Risparmio.

Erano anni quelli tra il 1945 e il 1950 in cui la maggior parte delle abitazioni cittadine non aveva un
servizio igienico decente, ed erano dunque frequentate dalle stesse malattie infettive che avevano
imperversato nella seconda metà dell’Ottocento e primo Novecento: le esantematiche (morbillo,
scarlattina, varicella), la parotite, la tosse convulsa, il tifo, la difterite, la poliomielite.

Figura 2. Signor Attilio Morici: foto in divisa militare del 1933.

Attilio Morici, nato il 6 marzo 1912, trascorse dieci anni della sua vita come militare prima, e poi
nel periodo bellico, partecipò alle «campagne d’Africa e di Grecia». Dieci anni durissimi e molto
difficili che non hanno scalfito il suo carattere buono; padre esemplare, sempre disponibile a
risolvere sia i problemi familiari sia quelli della collettività. Nel 1947 entrò nel corpo dei vigili
urbani e nel 1948 fu chiamato dal dottor Armando Bettini in qualità di Vigile Sanitario nel neonato
Ufficio di Igiene del Comune di Recanati, rinato dopo il devastante 2° conflitto mondiale.
Numerosi quindi erano i problemi igienici e sanitari di un piccolo borgo come Recanati, poco
dissimili da quelli che abbiamo visto alla fine dell’Ottocento, allorquando abbiamo parlato del
Medico Sanitario dottor Vincenzo Andrenelli 1 . Oltre alle precarie condizioni igieniche degli appartamenti, c’erano problemi di smaltimento dei rifiuti, che allora si chiamavano genericamente «immondizia».

Figura 3. Il Dottor Armando Bettini in una foto risalente agli anni ’50.
Per gentile concessione di Antonio Baleani AFI.

Le malattie più temibili erano la poliomielite e la difterite, con la forma più grave, il Crup. E
proprio il Crup mi colpì nel 1948 2 , quando avevo tre anni. Per mia fortuna il dottor Bettini nella
duplice veste di medico ospedaliero e di Ufficiale sanitario, informò mio padre che presso l’Ufficio
di Igiene di Ancona, si trovavano delle scorte di siero antidifterico [che erano state fornite
dall’Ufficio di Igiene di Genova]. Attilio si precipitò nella città dorica a prenderne alcune dosi per
eventuali emergenze; perché proprio suo figlio era un’emergenza. Fui salvato dal dottor Bettini, dal
nostro medico di famiglia – dottor Luigi Calamanti – che mi iniettò il siero e mi curò con numerose
iniezioni di penicillina, ma soprattutto dalla tempestività di mio padre che procurò il siero in tempo
utile per salvarmi la vita.
A tal proposito sento di dover ricordare che il medico molisano Vincenzo Tiberio 3 scoprì la
penicillina, 35 anni prima di Alexander Fleming. Considerata l’importanza di questo fatto, riferirò
più avanti le varie fasi che hanno condotto alla scoperta della penicillina da parte di questo medico
molisano nell’Università di Napoli.

Figura 4. Gruppo di medici ospedalieri di Recanati in una foto degli anni ’50
(a sinistra il Dottor Luigi Calamanti, mentre il Dottor Bettini è il terz’ultimo da destra).
Per gentile concessione di Antonio Baleani AFI.
Figura 5. Immagine fotografica storica di un intervento chirurgico eseguito nell’Ospedale S. Lucia di
Recanati nel 1890 (Foto Rughini; per gentile concessione di Antonio Baleani AFI)

[Le fotografie delle figure 3, 4 e 5 sono state gentilmente concesse dal Signor Antonio Baleani di Recanati.
Appassionato di fotografia e di storia locale, il signor Baleani è autore di pubblicazioni storico-fotografiche:
vincitore di concorsi nazionali di fotografia e componente di giurie di concorsi nazionali fotografici;
insignito per meriti del titolo AFI (Artista Fotografo Italiano) dalla Federazione Italiana Associazioni
Fotografiche. Attualmente è Presidente della Fondazione «Armando Bettini» di Recanati
].

In figura 6 è rappresentata la tavola XI di batteriologia presente nel Manuale dell’Ufficiale
Sanitario di Angelo Celli del 1898 4 , nella quale sono ben disegnati gli agenti patogeni delle
principali malattie infettive e contagiose; tra questi il bacillo della difterite, contrassegnato con il
numero 4. In figura 7 lo stesso bacillo, opportunamente colorato secondo Gram 5 , come appare in
una fotografia scattata al microscopio in tempi recenti.

Figura 6. Tavola XI (Batteriologia) presente nel Manuale dell’Ufficiale Sanitario di Angelo Celli del 1898.

Nella tavola sono illustrati alcuni batteri patogeni e le tecniche colturali. Abbiamo realizzato una
legenda non presente nella tavola, con la terminologia usata dal Dott. Angelo Celli nel testo del
Manuale (Google books).
Nei disegni 1 e 2 è rappresentato il Vibrio cholerae asiaticae (colera); nel disegno 4 Bacillus
diphtheriae (difterite).
Legenda. 1) e 2) Vibrio cholerae asiaticae (colera); 3) Bacillus tetani (tetano); 4) Bacillus diphtheriae
(difterite); 5) e 6) Bacterium tuberculosis;7) Colture in gelatina a piatto: colonie più spesse e più regolari di
quelle del tifo; 8) Colture piatte in gelatina: colonie superficiali; 9) Colture piatte in agar; 10) Colture in agar a piatto: colonie rotonde con un punto più scuro al centro; 11) Bacterium Mallei; 12) Colonie piatte in gelatina; 13) Colture in gelatina a piatto: colonie rotonde. Dal n. 14 a n.19 sono rappresentate colture ad infissione in gelatina e agar.

Figura 7. Corynebacterium diphtheriae come appare al microscopio ottico.
I batteri sono Gram positivi e hanno un aspetto bastoncellare-claviforme.
https://it.wikipedia.org/wiki/Difterite#/media/File:Corynebacterium_diphtheriae_Gram_stain.jpg

Il morbo della difterite viene descritto da Salvatore Natali in Topografia di Senigallia 6 , in cui
l’autore richiama l’antico medico Areteo di Cappadocia che diede alla difterite il nome di angina
maligna o ulcera siriaca egiziana:
In quelli che sono presi dalla cinanche, l’infiammazione attacca le tonsille, le fauci e tutta la bocca. La lingua sporge fuori dai denti, le labbra si fanno prominenti e da’ loro orli fluiscono la saliva e una pituita crassa fuor di modo e frigida: la faccia rosseggia e si gonfia; gli occhi in fuori, lucenti e rosseggianti: la bevanda è respinta alle narici. I dolori sono acuti, ma quanto più minaccia la soffocazione, tanto meno sentiti: il petto e il cuore sembrano ardere tra le fiamme, e altrettanto ardente è il desiderio d’aria fresca; e così in progresso va assottigliandosi la respirazione, che finalmente impedito il passaggio dell’aria nel petto, restano i miseri soffocati 7 .

Il Natali descrive anche la morfologia del bacillo di Löffler:

La difterite è eminentemente contagiosa, e spesso fu data all’uomo dagli animali; come fu constatato dal
Cozzolino, dal Nicati e da altri. Gauscher, Klebs e Gerhardt dimostrarono la presenza di un parassita nel
sangue e nelle urine dei difterici. Löffler dopo numerose ricerche avrebbe stabilito che i parassiti della
difterite sarebbero di due specie, uno avrebbe la forma di un micrococco unito in piccole catene […] l’altro
sarebbe un bacillo presso a poco della stessa lunghezza di quello della tubercolosi, ma il doppio più grosso di questo; i più grossi esemplari risulterebbero formati da un sol membro, e nei punti di contatto avrebbe osservato dei rigonfiamenti nodulari.

Poliomielite

L‘altro flagello fu la poliomielite che colpì Recanati per alcuni anni e raggiunse il picco nel 1958
con cento casi: trenta bambini resi disabili e tre deceduti. I dati sulla polio erano spaventosi; nel
1953 negli Stati Uniti si registrarono 35 mila casi. Il picco in Italia infatti si ebbe nel 1958, quando
si denunciarono 8.000 nuovi casi. Eppure già nel 1957 nella penisola era entrato in circolazione il
vaccino Salk, costituito da virus inattivi che si iniettava intramuscolo 8 . Nei primi anni ’60 la polio

fu sconfitta dal vaccino Sabin 9 , molto più efficace di quello Salk, in quanto costituito da virus vivi
attenuati da somministrare per via orale con una zolletta di zucchero. L’Istituto Superiore di Sanità
definisce la poliomielite come una grave malattia infettiva a carico del sistema nervoso centrale che
colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale dei bambini al di sotto dei 5 anni. È stata
descritta per la prima volta nel 1789 dal medico inglese dr. Michael Underwood. La poliomielite è
stata registrata per la prima volta in forma epidemica nell’Europa di inizio XIX secolo e poco dopo
negli Stati Uniti. L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre nel nostro paese è stato notificato
nel 1982. Si dovrà ancora mantenere efficiente il sistema di sorveglianza, ma è un enorme passo
avanti sulla strada dell’eradicazione del virus.

Il poliovirus infatti ha nell’uomo l’unico ospite e può
essere eliminato se non vi sono più casi umani per un periodo sufficiente. Sarebbe la seconda
malattia infettiva a essere eradicata dopo il vaiolo, dichiarato eradicato nel 1980 10 . L’unica strada
per evitare potenziali conseguenze è la prevenzione tramite vaccinazione . Esistono due tipi di
vaccini diversi: quello inattivato di Salk (IPV), da somministrare con iniezione intramuscolo, e
quello “vivo attenuato” di Sabin (OPV), da somministrare per via orale. Il vaccino di Sabin,
somministrato fino ad anni recenti anche in Italia, ha permesso di eradicare la poliomielite in
Europa ed è raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità nella sua campagna di
eradicazione della malattia a livello mondiale. Il 25 agosto 2020 l’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) ha annunciato che il continente africano è polio-free, perché sono trascorsi quattro
anni dall’ultimo caso registrato. Con questo annuncio cinque delle sei Regioni OMS sono state
dichiarate libere dalla polio: le Americhe nel 1994, l’Europa nel 2002, il Sud-Est asiatico nel 2014 e
la Regione del Pacifico nel 2000 11 .

Figura 8. Le particelle di poliovirus al microscopio elettronico mostrano un aspetto sostanzialmente privo di
caratteristiche rispetto ad altri piccoli virus come l’astrovirus, il virus Norwalk e altri SRSV e il tipico
calicivirus (non SRSV). https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Polio.jpg

Secondo quanto riportato dalla rivista «Microbiologia Italia», che segnaliamo come importante sito
per approfondire temi e problematiche di microrganismi patogeni, il virus della polio è costituito da
un genoma contenente un singolo filamento di RNA lungo circa 7500 nucleotidi, ed un capside
proteico. Quindi il polio virus è stato riconosciuto come il più semplice dei virus con importanza
patologica

Autore dell’immagine fotografica: Manuel Almagro Rivas. La struttura tridimensionale del ceppo
Sabin del poliovirus di tipo 3 è stata determinata con una risoluzione di 2,4 A. Le differenze
strutturali significative con il ceppo Mahoney del poliovirus di tipo 1 – limitate alle anse e alle
estensioni terminali delle proteine del capside – si verificano in tutti i principali siti antigenici del
virione e tipicamente coinvolgono inserzioni, delezioni o sostituzione di proline. Fattori strutturali
che controllano le transizioni conformazionali e la specificità del sierotipo nel polio virus di tipo 3.
https://www.rcsb.org/structure/2PLV

Spagnola

Ma soprattutto il Novecento è difatti ricordato come il secolo della grande epidemia dell’influenza
spagnola.
Scrive Roberto Bianchi nel saggio introduttivo al libro L’influenza spagnola del 1918-1919, di
Francesco Cutolo: «L’influenza spagnola e rimasta a lungo in ombra nella storiografia e nella
manualistica scolastica. Per oltre un secolo, soprattutto in Europa – con qualche eccezione – la più
grande pandemia del Novecento è stata sostanzialmente ignorata dalla letteratura e dalle arti
figurative, dalla televisione, dal cinema e dal fumetto, dalla toponomastica e dalla memorialistica,
dai comitati per gli anniversari di interesse nazionale, e quindi da quella che ora si chiama Public
History». Poi e arrivato il Covid-19 e le cose sono cambiate.
Ha ragione il professor Bianchi: prima di maggio 2020, poche erano le voci (ricerche storiche, libri,
eccetera) che si trovavano sul web (ad eccezioni di quelle americane e inglesi); persino la nota
enciclopedia Wikipedia da poche migliaia di consultazione e passata a circa un milione mezzo e
oltre di visualizzazioni. Perché tutto questo interesse nei confronti di una pandemia che sembrava
lontana e quindi dimenticata? Era ritornata in auge in un momento grave e non prevedibile come
l’attuale pandemia di Covid 19. Come per esorcizzare questa nuova pandemia si è riscoperta la
spagnola. Eppure la storia avrebbe dovuto insegnare qualcosa: quasi ogni 100 anni (cioè ogni
secolo) scoppia una nuova pandemia: nell’Ottocento il colera, nel Novecento la spagnola e nel
Terzo Millennio il covid, per quanto possa suggerire una simile ricorsività.

Il giorno 11 novembre 1918, quando la Germania depose le armi e firmò l’armistizio, fini
definitivamente la grande guerra a cui parteciparono circa 70 milioni di soldati; oltre 9 milioni non
fecero più ritorno a casa. Si stimano 7 milioni di vittime tra i civili, non solo per i diretti effetti delle
operazioni di guerra, ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie. In questo contesto di
macerie, desolazione, fame, carestia e pessime condizioni igienico sanitarie, proliferò il virus
dell’influenza chiamata spagnola, perche i primi casi in Europa sorsero in Spagna nel febbraio 1918. Secondo l’ammiraglio Vincenzo Martines, l’agenzia di stampa Fabra diffuse un comunicato
piuttosto allarmante di una strana malattia epidemica sorta a Madrid con carattere benigno, senza
casi letali. La provenienza del morbo non era chiara; alcuni storici dicono che il focolaio fu negli
Stati Uniti e poi si diffuse in Spagna; altri dicono che l’origine dell’influenza fosse la Cina. La
spagnola ebbe una dimensione globale in quanto si diffuse in tutto il pianeta in tre ondate
successive e terminò nel 1920, dopo tre anni, causando il decesso di circa 50 milioni di persone
(altri dati statistici dicono tra 50 e 100 milioni). La prima ondata dell’influenza arrivò in Italia nel
maggio 1918, con carattere benigno, che durava un massimo di 5 giorni in cui si verificavano tosse,
febbre alta 39-40 gradi, mal di testa, dolori nella zona lombare, ecc. Ben più grave fu la seconda
ondata dell’epidemia che scoppiò nell’autunno 1918. Nella zona di Ancona e in alcune località
vicine quali Castelfidardo, Loreto, Recanati e Osimo, tutto sembrava tranquillo, infatti i giornali
parlavano di altre cose e i documenti di archivio non riportavano nulla in merito al morbo. Benché i
prefetti in data 22 agosto fossero stati informati dal Ministero dell’Interno dei primi gravi casi di
spagnola, il prefetto di Ancona non comunicò ai sindaci il contenuto della circolare ministeriale;
tant’è che nelle prime due settimane di settembre, non essendoci nessuna notizia in merito
all’epidemia, a Castelfidardo si tenne l’annuale fiera delle Crocette, e incuranti dell’imminente
pericolo il 15 settembre furono aperte regolarmente le scuole elementari. Nella circolare erano
indicate le norme di prevenzione per la spagnola – di cui riportiamo le parti più importanti, che non
sono molto dissimili da quelle che 100 anni dopo saranno introdotte per prevenire il Covid 19. Il
Ministero avverte la cittadinanza che il germe della malattia è contenuto nel muco delle vie
respiratorie del malato e si ritiene che permanga anche dopo cessata la febbre e la tosse. Il contagio
pertanto avviene per via aerea, tant’è che l’infermo può proiettare il germe intorno a sé tossendo,
starnutendo o semplicemente parlando.

Si raccomanda alle persone sane di non visitare o avvicinarsi alle persone malate, se non in caso di assoluto bisogno, ed inoltre di non toccare o maneggiare oggetti appartenenti alle persone malate, quali indumenti, biancheria, asciugamani, stoviglie e bicchieri. Un altro punto fondamentale per limitare il contagio e quello di evitare il più possibile la frequentazione di luoghi pubblici e ambienti chiusi, i mezzi di trasporto (treni, tram, eccetera). Un altro punto riguarda la pulizia e la disinfezione di locali, veicoli per il trasporto delle persone; le persone dovranno prestare particolare attenzione alla pulizia e alla disinfezione delle proprie abitazioni e delle mani, mediante accurato lavaggio con sapone, da eseguirsi più volte al
giorno unitamente all’igiene del cavo orale.

Ulteriori misure di profilassi furono emanate dal Ministero dell’Interno ai Prefetti del Regno tramite
Circolari telegrafiche. Con la circolare del 22 agosto 1918 si faceva il punto della situazione ed in
otto capisaldi il ministero dava istruzioni sui metodi di profilassi da adottare; nel 4° caposaldo si
raccomandava di effettuare una speciale vigilanza per i luoghi chiusi e all’aperto quali le caserme, i
convitti, le scuole, i teatri e i cinematografi, ecc., allo scopo di evitare eccessivi affollamenti ed
ottenere rigorosa pulizia. Il 6° caposaldo dava istruzione al personale sanitario ospedaliero
(infermieri e medici) di indossare vestaglie [camici] e dopo essersi disinfettate le mani, si dovevano
munire di opportuni schermi filtranti per proteggersi contro inalazioni di pulviscolo infetto
provenienti da ammalati ricoverati. Poi però nell’ottavo e ultimo punto consigliava ai Prefetti di
«tranquillizzare la popolazione, evitando allarmismi ingiustificati».

Figura 10. Immagine al microscopio elettronico del virus
dell’influenza spagnola sottotipo H1N1.
Figura 11. Immagine del virus SARS-CoV-2 senza sfondo

L’immagine della figura 11, creata presso The Centers for Disease Control and Prevention (CDC),
rivela la morfologia ultrastrutturale esibita dai coronavirus. Le punte che adornano la superficie
esterna del virus, osservate al microscopio elettronico, conferiscono l’aspetto di una corona che
circonda il virione. Un nuovo coronavirus, denominato Coronavirus 2 della sindrome respiratoria
acuta grave (SARS-CoV-2), è stato identificato come la causa di un’epidemia di malattia
respiratoria rilevata per la prima volta a Wuhan, in Cina, nel 2019.

La malattia causata da questo virus è stata denominata malattia da coronavirus 2019 (COVID-19).
https://it.wikipedia.org/wiki/COVID-19#/media/File:SARS-CoV-2_without_background.png
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:SARS-CoV-2_without_background.png

Per approfondire l’argomento vedi Le Scienze, n. 623 di luglio 2020, Dentro il coronavirus,
redazione Mark Frischetti, illustrazioni Veronica Falcoriei Hys, redazione grafica: Jen Christiansen,
consulenza: Britt Glaunsiger, pp. 42-47.

Ho inserito le foto microscopiche elettroniche del virus della spagnola e quello del Covid 19 per
osservarne la grande differenza strutturale.
Analizziamo infine la circolare del 15 ottobre 1918 (Istruzioni popolari per la difesa contro
l’influenza, a cura del Ministero dell’Interno) per le sue analogie con le disposizioni impartite cento
anni dopo per il Covid 19.
Dopo un cappello introduttivo in cui si comunicava ai Prefetti che il fenomeno influenzale si era
esteso nella terza decade di settembre, il ministero era costretto ad emanare nuovi provvedimenti in
modo da dare maggiori impulsi alla profilassi. In questa circolare sono presenti tre punti
fondamentali di cui facciamo una breve sintesi. La sorgente di infezione è l’uomo malato: non sono
applicabili né la denuncia singola né l’isolamento classico dei malati in uso per le altre infezioni.
Per questo motivo le autorità locali devono attuare una costante vigilanza sanitaria nei singoli
Comuni per accertare rapidamente i focolai di infezione e per verificare che la profilassi collettiva e
individuale siano sempre rivolte a ridurre al minimo possibile i contatti, sorgenti di infezione. Negli
ospedali deve essere evitata la disseminazione dei malati nelle corsie, inserendoli invece a seconda
delle disponibilità, in appositi locali o sezioni, reparti o sale separate, evitando il contatto dei malati
con la popolazione e pertanto evitando in modo rigoroso le visite del pubblico.
Nel secondo punto vengono richiamate le raccomandazioni impartite nella circolare precedente di
limitare all’indispensabile le riunioni, specie in ambienti chiusi, e sopprimendo quelle tenute in

locali igienicamente non idonei quali teatri, cinematografi, ecc.

Infine al terzo punto viene caldamente raccomandata ai medici, una scrupolosa igiene personale, con la protezione delle vie respiratorie mediante opportuni schermi, durante le visite di controllo degli ammalati presenti negli ospedali, in quelli ospiti in istituti collettivi o in case private. Lo scopo di questa circolare era quello di diminuire la propagazione del morbo.

Figura 12. Frontespizio delle istruzioni del Ministero dell’Interno
per la difesa contro l’influenza

Tuttavia come fa notare lo storico Riccardo Sampaolesi, tutte le disposizioni e le indicazioni per
prevenire il morbo furono inadeguate e difficilmente applicabili per il semplice fatto che tali misure
furono solo consigliate, raccomandate e non rese obbligatorie. La ricostruzione sulla diffusione
della spagnola a Macerata effettuata dallo storico Romano Ruffini, di cui qui riporto alcuni stralci,
colma una grande lacuna dovuta alla mancanza di studi e di dati.
Ai primi di settembre 1918 la spagnola si propagò nella città di Macerata in un quartiere popolare e
da lì si diffuse rapidamente a Villa Potenza dove le scuole furono chiuse. L’errore del Governo
Orlando all’inizio fu quello di tacere sulle notizie della diffusione del morbo e del suo andamento
epidemico. Purtroppo la cosa era grave: lo sapevano oltre al prefetto, i medici ed il sindaco, il quale
era molto preoccupato per l’aumento dei contagi e dei decessi nella sua città.

All’epoca i rimedi per combattere il virus della spagnola e gli effetti collaterali da infezioni batteriche, mancando ancora gli antibiotici, erano basati sull’uso dell’aspirina e del chinino che aveva il solo scopo di essere un cardiotonico; poteva tuttavia essere di aiuto per aumentare la resistenza dell’organismo contro
l’infezione. Ulteriori utili consigli forniti dall’Ufficiale Sanitario erano quelli dell’igiene personale,
come la pulizia delle mani, l’uso di colluttori con disinfettanti quali la tintura di iodio diluita in
acqua, ecc. Lo stesso Ufficiale Sanitario di Macerata avendo ben capito la tragica situazione
epidemica, raccomandò a coloro che assistevano i malati l’uso del camice e di una piccola
maschera (l’attuale nostra mascherina) di garza e di un filtro di ovatta per proteggere naso e bocca.

In totale nel Comune di Macerata ci furono 400 decessi, mentre nei paesi della provincia si
contarono 3200 morti. Non sono riuscito a trovare notizie sulla spagnola a Recanati; rimane il
ricordo di mia madre Antonina che all’età di 5 anni, nel mese di ottobre 1918, fu colpita dal morbo
e solo miracolosamente riuscì a superare la malattia dopo due settimane di febbre alta, tosse e
dolori.

Come un evento del 1895 avrebbe potuto cambiare la storia

Peccato che non ci fossero gli antibiotici!
La prima muffa ad azione antibiotica fu scoperta dal medico molisano Vincenzo Tiberio, come
risulta dalla sua relazione Sugli estratti di alcune muffe, ristampa dell’edizione originale a cura degli
Amici di Sepino, Associazione Culturale, 1995 (pp. 1-13) ( https://bit.ly/3AAwarn ).

Il dottor Tiberio negli anni 1893-1895, trentacinque anni prima di Fleming, aveva intuito,
dimostrato e pubblicato la sua scoperta sulle capacità battericide delle muffe sugli Annali di Igiene
Sperimentale, vol. V, 1895, pp. 91-99, diretti dal professor Angelo Celli.
Nella sua relazione aveva dimostrato come il liquido antimicrobico da lui preparato fosse attivo sul
bacillo del carbonchio, del tifo, sul vibrione del colera, sullo stafilococco piogene aureo, sullo
streptococco piogene, ecc. Sarebbero state sufficienti queste prove per prendere in seria
considerazione la grande scoperta di Tiberio.
Hanno ragione i professori Marcella Tamburello e Giovanni Villone, Cattedra di Storia della
Medicina e Bioetica Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute «Vincenzo Tiberio»,
Università degli Studi del Molise, nella loro relazione e ricordo di Vincenzo Tiberio.
«La scoperta degli antibiotici e la mancata produzione industriale del farmaco» si pongono questa
domanda: cosa mancò, quindi, per chiudere il cerchio e rendere la sua scoperta rivoluzionaria uno
strumento concreto di lotta alle infezioni batteriche patogene? Perché il suo lavoro restò fermo negli
archivi dell’Università di Napoli?

Non si conosce il motivo per cui Tiberio lasciò l’Università per partecipare [e vincere] un concorso
come medico della Marina militare, imbarcandosi nella nave Sicilia, abbandonando la sua scoperta
sul potere battericida di alcune muffe, benché pubblicata sui noti Annali di Igiene Sperimentale.
Alla fine dell’Ottocento al tempo della scoperta dello scienziato molisano – come affermato dalla
prof. Marcella Tamburello e dal prof. Giovanni Villone – la cultura scientifica forse non era ancora
pronta per capire la portata del lavoro di Vincenzo Tiberio anche per le carenze della biochimica e
della biologia molecolare in un Paese, come l’Italia, ancora sostanzialmente arretrato.
Tuttavia questo fatto sia da monito per il futuro: se la comunità scientifica facesse più attenzione ai
lavori dei giovani ricercatori, le cose potrebbero andare molto meglio per tutti. Nel caso specifico di
Vincenzo Tiberio, se la sua scoperta fosse stata sviluppata e considerata in modo serio dagli
accademici, dalle commissioni nazionali e internazionali di sanità pubblica e dalle ditte
farmaceutiche, avremmo avuto la penicillina molti anni prima del 1947, addirittura in tempo utile
per combattere numerose malattie infettive contagiose e forse anche la grande pandemia della
spagnola, avrebbe causato molte meno vittime di quante purtroppo ne ha avute in tutto il mondo.
Nella figura 13 si riporta il frontespizio degli Annali di Igiene sperimentale del 1895 e nella figura
14 la prima delle quattro tabelle riassuntive e schematiche della scoperta del dottor Tiberio.

Figura 13. Frontespizio Annali di igiene sperimentale, vol. V., Fascicolo I, diretti dal Prof. Angelo Celli,
Ermanno Loescher& C., Roma, 1895 (Google books).
Figura 14. Prima pagina della ricerca Sugli estratti di alcune muffe di Vincenzo Tiberio
(pag. 91 degli Annali di Igiene Sperimentale)
Figura 15. Tabella I, Sugli estratti di alcune muffe di Vincenzo Tiberio, Annali di Igiene Sperimentale, p. 99
Figura 16. Vincenzo Tiberio ritratto da ufficiale medico della Regia Marina
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Vincenzo_tiberio.jpg

Bibliografia

Celli A., Manuale dell’Ufficiale Sanitario, Tipografia Enrico Voghera, Roma 1898 (Google books).

Cutolo F., L’influenza spagnola del 1918-1919. La dimensione globale, il quadro nazionale e un
caso locale, I.S.R.Pt Editore, Pistoia 2020.

Circolare telegrafica diretta ai Prefetti del Regno, sulla profilassi dell’influenza, 22 agosto 1918, n.
26125 e Circolare 15 ottobre 1918 n. 33687.

Martines V., 1918-19, l’epidemia di spagnola, Storia della Medicina, consultabile nel link:
( https://bit.ly/308LezP ).

Ministero dell’Interno, Istruzioni per difendere la popolazione dall’influenza spagnola, 1918, p. 6
( https://bit.ly/3BtMxaf ).

Morici R. Epidemie e pandemie. Ambiente e contagi nel tempo (sec. XIX-XXI, in Marca/Marche,
17/2021, Andrea Livi Editore, Fermo.

Natali S., Topografia e statistica medica di Senigallia, Stabilimento Giuseppe Civelli, Milano,
1889.

Ruffini R., Macerata durante la Spagnola, quante analogie col Coronavirus, in «Cronache
Maceratesi.it», 5 aprile 2020 ( https://bit.ly/3Brna99 ).

Sampaolesi R., L’influenza spagnola nelle Marche: il caso di Castelfidardo (1918-1920), in
«Proposte e Ricerche», 56 (2006), pp 290, 303-304.

Sampaolesi R., L’epidemia di influenza “spagnola” a Castelfidardo (1918-1920), Castelfidardo
2006, p. 79.

Note
1 R. Morici, Quando l’acqua faceva male, Marca/ Marche 1/2013, Andrea Livi Editore, Fermo.

2 Crup, forma grave della difterite nella quale apposizioni di tessuto infiammatorio fibrinoso (false
membrane) si depositano nell’interno della laringe, ostruendola e provocando l’asfissia. Tra i segni
premonitori, la progressiva difficoltà della respirazione, che diviene rumorosa (cornage), mentre a ogni
inspirazione si produce un rientramento del giugulo e della fossetta epigastrica (tirage)
http://www.treccani.it/enciclopedia/crup_%28Dizionario-di-Medicina%29/

3 Tiberio V., Sugli estratti di alcune muffe, Annali di Igiene Sperimentale, vol. V., 1895, diretti dal Prof.
Angelo Celli, Fascicolo I, Ermanno Loescher& C., Roma, 1895, pp.91-103.

4 A. Celli, Manuale dell’Ufficiale Sanitario di Angelo Celli del 1898, Tavola XI compresa tra le pagine 287-
290.

5Questa tecnica deve il suo nome al proprio inventore, il medico danese Hans Christian Gram, che fu
direttore della Clinica di Copenaghen nella seconda metà dell’Ottocento e la mise a punto nel 1884. La
colorazione di Gram permette di distinguere e classificare i batteri presenti in un campione. In base alla
diversa colorazione assunta, che dipende dalla loro permeabilità al colorante principale (il cristalvioletto, detto anche violetto di genziana), essi sono identificabili in due grandi classi: batteri gram positivi e batteri gram negativi. La diversa permeabilità è dovuta a ragioni morfologiche intrinseche alla struttura della parete cellulare del batterio e può dare solo due esiti: colorazione piena gram-positività o non colorazione gram-negatività. https://www.microbiologiaitalia.it/microscopia/colorazione-di-gram-distinguere-e-classificare-i-batteri/

6 S. Natali, Topografia e statistica medica di Senigallia, Stabilimento Giuseppe Civelli, Milano, 1889, pp.
89-90.

7 Antonio Semprini (pediatra), Pediatria On Line, Storia della difterite,
https://www.pediatria.it/storiapediatria/p.asp?nfile=storia_della_difterite
https://www.bergamonews.it/2021/04/03/behring-e-il-siero-contro-la-difterite-che-uccideva-i-
bambini/431373/

8 Nel 1957 in Italia era entrato in circolazione il vaccino Salk, costituito da virus inattivi che si iniettava
intramuscolo. Il vaccino Salk, o polio inattivato (IPV), si basa su tre ceppi selvaggi, virulenti di riferimento:
Mahoney (poliovirus di tipo 1), MEF-1 (poliovirus di tipo 2) e Saukett (poliovirus tipo 3), coltivati in un tipo
di coltura tissutale ricavato dal rene di scimmia, che vengono poi inattivati con formalina. Il vaccino iniettato Salk conferisce un’immunità IgG-mediata nel sangue, che impedisce la progressione dell’infezione da polio e protegge i motoneuroni, eliminando così il rischio di polio bulbare e la sindrome da post-poliomielite.
https://it.wikipedia.org/wiki/Vaccino_antipoliomielite#Controversie_sul_vaccino_antipolio

9 Il vaccino Sabin, molto più efficace di quello Salk, è costituito da virus vivi attenuati da somministrare per via orale con una zolletta di zucchero. Quella zolletta bianca che sconfisse il mostro- poliomielite.https://iltirreno.gelocal.it/regione/2014/09/21/news/quella-zolletta-bianca-che-sconfisse-il-
mostro-poliomielite-1.9974586?refresh_ce

Il vaccino orale (OPV) è un vaccino vivo attenuato, prodotto dal passaggio del virus attraverso cellule non
umane con una temperatura sub-fisiologica, che produce mutazioni spontanee nel genoma virale. L’OPV ha dimostrato di essere più facile da somministrare, eliminando la necessità di siringhe sterili e rendendolo più adatto per le campagne di vaccinazione di massa. L’OPV fornisce anche l’immunità più duratura rispetto al vaccino Salk. Nel 1961 il vaccino monovalente orale (MOPV) di tipo 1 e 2 fu autorizzato, mentre il tipo 3 ebbe la licenza l’anno successivo. Nel 1963 l’OPV trivalente (TOPV) fu messo in commercio e divenne il vaccino di scelta negli Stati Uniti e in molti altri paesi del mondo, in gran parte sostituendo il vaccino inattivato contro la polio. Una seconda ondata di vaccinazioni di massa portò a un’ulteriore diminuzione del numero di casi di poliomielite. Tra il 1962 e il 1965 circa 100 milioni di americani (circa il 56% della popolazione in quel momento) ricevettero il vaccino Sabin, con una sostanziale riduzione del numero di casi, anche rispetto ai livelli già molto ridotti a seguito dell’introduzione del vaccino Salk. Il vaccino con virus vivo ha lo svantaggio di dover rispettare requisiti rigorosi per il trasporto e lo stoccaggio, che rappresentano un problema in alcune zone calde o remote.
Come con altri vaccini a virus vivo, l’immunità data dall’OPV probabilmente dura per tutta la vita.
https://it.wikipedia.org/wiki/Vaccino_antipoliomielite#Controversie_sul_vaccino_antipolio

10 Istituto Superiore di Sanità, Poliomielite, L’epidemiologia per la sanità pubblica, ultimo aggiornamento:
7 novembre 2019, a cura di Paola Stefanelli: https://www.epicentro.iss.it/polio/

11 Istituto Superiore di Sanità, Poliomielite, L’epidemiologia per la sanità pubblica, ultimo aggiornamento:
4 settembre 2020; https://www.epicentro.iss.it/polio/aggiornamenti. Leggi la riflessione di Silvia Declich
(Centro Nazionale per la Salute Globale – ISS) https://www.epicentro.iss.it/polio/dichiarazione-africa-polio-free

2 thoughts on “La spagnola, la difterite e la poliomielite nella prima metà del Novecento

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