L’amore ai tempi del papa re

 

 di Leonardo Badioli

 

Nell’archivio della Biblioteca Antonelliana di Senigallia si trova il verbale che raccoglie le testimonianze rese da certo Crescentino Diotallevi e da sua moglie Domenica avanti il Tribunale Ecclesiastico a proposito dei portamenti di Giovanna Moroni detta “la Coccetta”, loro vicina di casa. Si tratta di quattro carte su cinque, mancando nel faldone la seconda, delle quali propongo una rapida lettura.

 

 

l'amore ai tempi del papa re
Egon Schiele, Atto d’amore

 

 

Montemarciano, 19 dicembre 1823. Cancelleria della Giurisdizione Ecclesiastica di Senigallia. 

Interrogata dal Sostituto Cancelliere Foraneo Francesco Siena, secondo rituale, se sappia dove si trova e se ne conosca la cagione, Domenica risponde:

Venni perché chiamata, e penso che voglia esaminarmi intorno a Giovanna  Coccetta, come anche credo di essere esaminata intorno a Sante Bettini, che si dice essere amico della anzidetta Giovanna Coccetta.

Eccitata a narrare quanto ha veduto e sa intorno ai medesimi, la teste riferisce solo per sentito dire:

Circa sette o otto giorni a questa parte sentii che una zitella chiamata Onesta Moresi mi disse che la ripetuta Coccetta parlava di notte con Sante Bettini, ed io non so altro”.

Interrogata intorno alla fama tanto della Coccetta che del Bettini, la teste sottolinea che “Il vicinato, anzi quasi tutto il paese…”

La frase resta sospesa perché qui finisce la prima carta e, come detto, la seconda manca; si indovina però che potrebbe concludersi con l’affermazione che quasi tutti in paese sanno che la Coccetta e Sante si incontrano di notte.

La carta successiva contiene, già iniziata, la testimonianza del marito di Domenica, Crescentino Diotallevi. L’uomo racconta di avere notato i due amanti sulla porta di casa della donna; e di averli osservati con particolare attenzione sapendo che la Curia Vescovile, a seguito di altre inquisizioni, aveva proibito alla Coccetta di uscire di sera e di ricevere uomini in casa propria.

Viddi che la detta Giovanna Moroni abbracciò il mentovato Sante Bettini e gli diede più baci, quali furono contraccambiati dal Bettini stesso”.

Invitato a dire se sappia che alcuno altro abbia veduto questo fatto, e se in questa circostanza abbiano proferito parole, o siano accadute altre cose, il Diotallevi risponde:

“Per quanto è a mia notizia non so che alcun altro abbia ciò veduto, ma che il Bettini e la Moroni trattino insieme lo potrà sapere dalla mia consorte Domenica, da Giuseppe Diotallevi, da Teresa moglie di Carlo Conti, da Domenica Fammilume e da Giovanna moglie di Alessio Diotallevi.

Circa poi alle parole proferite nell’anzidetto fatto, intesi che Giovanna disse, dopo i baci già dati:

«Chisà cosa ci hanno fatto questi preti fututi, adesso voglio che andiamo a fare quattro o cinque pelle alla faccia loro».

Ciò detto, prese il Bettini per la mano procurando di menarlo entro la casa, e sebbene il detto Bettini sembrasse poco contento di andarvi, pure alla fine ve lo introdusse”.

Invitato a dire come poté comprendere che il Bettini non vi voleva andare, il teste precisa:

“Lo viddi che procurava di tirarsi indietro per due volte, ma alla fine vi andò”.

Invitato a dire se vide sortire il Bettini dalla detta casa, e quanto tempo ci facesse dimora:

“Curioso di vedere il fine della scena, siccome la mia casa è vicina a quella della mentovata Moroni, all’aprire della sua porta mi affacciai di nuovo, e col favor della luna viddi sortire il Bettini a circa le cinque della notte, essendo entrato come premisi a mezz’ora, o tre quarti”.

Se sappia altro sul proposito:

“Ho mancato di dire che quando la Moroni parlò contro i preti disse dopo ciò anche le precise parole: 

«Più [la Curia] mi tiene carcerata e più quando scappo mi dà gusto». 

E replicando un’altra volta:

«Preti fututi, si hanno da stuffare prima loro che io».

Interrogato se dopo tornate tre sue amiche, la Ottaviani e le sorelle Giulianelli, dalle carceri di Senigallia nel passato ottobre facesse essa Moroni alcun discorso, Crescentino si dilunga:

“Avanti la pubblica scuola vi è un piazzale in cui spesso si vanno riunendo la detta Moroni, le Giulianelli e la Ottaviani, essendo tutte abitanti di quel vicinato, ed un giorno sentii che la Moroni così parlava alle anzidette:

«Povere matte! Io dopo tornata dal carcere ne feci quattro o cinque delle pelli alla faccia loro».

Cui la Domenica Giulianelli rispose:

«Almeno sta’ quieta”.

Soggiunse la Moroni:

«E chi se ne frega».

Un altro giorno accompagnandosi le mentovate disse la Coccetta, ossia Moroni:

«Io sono tre o quattro giorni che non ho fatto niente, l’affare mi butta, e non posso star più, mi ci ha fatte le ragnatele».

Marianna Giulianelli rispose:

«Eh, che sei arangolita?»

Soggiunse la detta Marianna:

«E quando vai a confessarti come fai?»

Rispose la Moroni:

«Io gli faccio credere quello che mi pare. Anzi, quando feci il ragazzo ancorché fosse sotto la Pasqua non gli dicei niente, e poi lo andiedi a fare dalla mammana».

Interrogato se abbia altro da aggiungere, Crescentino di suo mette giù il carico del sospetto di scandalo:

“Soltanto devo dire che quando la Moroni facea tali discorsi con le Giulianelli e la Ottaviani, vi erano molte ragazze di dieci in dodici anni, le quali dicevano fra loro:

«Sentite come parlano queste persone».

Aggiungendo che quanto ho detto ho veduto co’ miei occhi e udito colle mie orecchie”.

 

Qui si chiude la deposizione. Non è detto che il linguaggio triviale della Coccetta (nel gergo popolare sopravvisse fino a pochi anni fa l’espressione “fare una pelle”, che richiama lo “scuotere il pelliccione” di Boccaccio: “usare l’atto venereo” secondo il Vocabolario della Crusca) le appartenga veramente: una volta le parole dell’amore erano o troppo evasive o molto volgari. A meno che con simili espressioni la donna di Montemarciano non senta di esprimere la rabbia insultante che le monta a causa della libertà negata della sua persona. Ma la voce prevalente nella deposizione è quella maschile; ed è possibile che porti una contraffazione più o meno intenzionale dei modi autentici dell’inquisita.

Non ci sono in biblioteca altri fogli che contengano la sentenza. Succedeva spesso che il Tribunale Ecclesiastico non la emettesse al termine del procedimento, limitandosi alle carcerazioni preventive e alle ingiunzioni correttive (precetto). Non sappiamo dunque se la Coccetta ovvero Giovanna Moroni sia stata ulteriormente punita a causa del suo amore per l’amore; o se l’abbia invece avuta vinta, durando un minuto in più dei suoi persecutori come s’era ripromessa di fare nel suo entrare ed uscire dalle carceri episcopali.

                                                                                                                                

La minorità della donna ai tempi del papa re

Le norme penali dello Stato Pontificio ai tempi della Coccetta di Montemarciano erano state rinnovate in modo da tutelare la minorità della donna. Ve ne offriamo un assaggio. Bisogna notare che il termine stuprum indicava il rapporto sessuale consensuale tra un uomo e una donna onesta, nubile o vedova. La distinzione tra stupro semplice e stupro qualificato implicava la presenza o meno di una promessa di matrimonio. La punibilità della relazione partiva proprio dalla necessità di tutelare la donna e la sua reputazione, la quale non era ritenuta in grado di controllare con fermezza le proprie emozioni e poteva facilmente restare vittima di un inganno. Ma i tribunali ecclesiastici mantenevano costumi e procedure “preventive”, come ad esempio il dare inizio a un processo per portamento disonesto con detenzione temporanea senza sentenza conclusiva.

 

Regolamento sui delitti e sulle pene del 20 settembre 1832 già in vigore nelle provincie delle Romagne, delle Marche e dell’Umbria

 

TITOLO X

Dei delitti contro i buoni costumi

e contro l’onestà

168. Lo stupro semplice è punito coll’opera pubblica di tre anni, quando il reo o non doti, o non sposi la stuprata.

[art. 8. La querela di stupro consensuale con promessa di matrimonio non può esporsi dalla donna maggiore di 21 anno o dai genitori senza sottoporsi essa stessa al giudizio come correa. Prima di questa età tanto essa quanto quelli che l’hanno in potestà o in cura potranno avanzare querela, senza che sia tenuta responsabile di correità, salvo in questo caso l’inchiesta al Ministero pubblico, per tiutolo di trascurata custodia.]

 

169. Lo stupro qualificato per promessa di matrimonio, che il reo non voglia più adempiere, è punito coll’opera pubblica di tre anni, ed il colpevole è obbligato a dotarla.

 

170. Lo stupro è qualificato per violenza, quando è commesso con minaccie gravi, con percosse, con uso o apparecchio d’armi, con aboso della persona che per malattia, per aberrazione di mente, o per altra causa, si trovi fuori dell’uso dei sensi, o ne sia stata artificiosamente privata.

 

173. La pena di questo delitto è la galera dai dieci anni ai quindici, la qual pena si aumenta fino agli anni venti, se vi fossero ferite o altre circostanze gravanti, o se fosse cagionato grave pregiudizio alla salute della persona stuprata.

 

174. La pena dello stupro immaturo è la galera perpetua; se ne segue la morte della stuprata è la decapitazione.

 

175. La violenta cognizione carnale in persona di donna libera, sarà punita con uno, o due gradi in meno della pena stabilita nell’art. 173

176. L’adulterio violento è punito conlla galera perpetua. Se è commesso senza violenza, la pena per i delinquenti si diminuisce ai cinque anni di galera.

178. I colpevoli di delitto consumato contro natura sono puniti colla galera perpetua.

 

 

TITOLO XXII

Dell’aborto procurato

 

510. L’aborto procurato con effetto, sia dalla donna stessa incinta, sia da altri in qualunque tempo della gravidanza, si punisce con dieci anni di galera.

 

511. Se non ha avuto effetto, si punisce con cinque anni di opera pubblica.

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