Una recensione dello storico Carlo Vernelli al libro di Rossano Morici

“Il clima delle Marche nell’Ottocento”


Copertina del libro Il clima delle Marche nell’Ottocento

Veduta dei Monti Azzurri dal colle dell’Infinito.
(Per g.c. di Antonio Baleani AFI)

Rossano Morici è un ricercatore che da anni si sta occupando di temi ambientali e di storia del clima. Questo suo interesse gli ha permesso di incontrare a Parigi Emmanuel Le Roy Ladurie, considerato il fondatore degli studi sulla storia del clima.

Nello scorso settembre è uscito il suo nuovo volume intitolato Il clima delle Marche nell’Ottocento, che è stato pubblicato nella collana dei Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche con il n° 320. Il libro presenta due aspetti particolari: uno riguarda la metodologia usata per realizzare l’opera, l’altro è costituito dalla consonanza con gli eventi di attualità.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’autore – con un minuzioso lavoro di ricerca – ha raccolto la tradizionale documentazione usata dagli storici del clima, indicata con l’espressione dati proxy (W. Behringer, Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale, 2013), che sono costituiti dai diari meteorologici, dalle annotazioni individuate in documenti di vario tipo o dalle indicazioni sull’andamento dei raccolti, che si trovano con una paziente ricerca d’archivio. Infatti ha scritto Adriana Palombarini (Clima e carestie nella seconda metà del ‘500, 1987) che era «un costume assai diffuso tra la nobiltà del tempo» tenere un diario per conservare le memorie di famiglia, degli eventi storici e delle cronache locali soprattutto quelle legate agli eventi metereologici, perché queste condizionavano pesantemente la produzione agricola e quindi la rendita del patrimonio familiare e le condizioni di vita personali e della comunità.

Morici ha quindi utilizzato in particolare l’ultimo volume degli Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino all’anno 1850 di Alfonso Corradi, pubblicati tra 1865 e 1892, che costituiscono una vasta miniera di informazioni sul clima oltre che su quelle della sanità, dell’attività vulcanica e dei terremoti. Possono sembrare dati di erudizione locale poco significativi, ma l’autore spiega che fino alla metà dell’Ottocento ci si trova di fronte a notizie su come il clima è «percepito», cioè a dati soggettivi e non misurati scientificamente o, in alcuni casi, a poche misurazioni con strumenti ancora imperfetti. Tali elementi vanno quindi analizzati criticamente e verificati con altre fonti.


Fotografia di Alfonso Corradi, medico epidemiologo, autore degli Annali delle Epidemie,
(Per g.c. della Biblioteca comunale «Antonelliana» di Senigallia)

Ed è quanto ha fatto Morici a proposito dell’ultimo tremendo ciclo di carestia-epidemia del 1816-1817, che chiude un periodo iniziato nel Trecento, attenuato nel secolo successivo e riacutizzato nel Cinquecento. L’autore quindi si muove tra la storia della Little Ice Age, che si esaurisce nella prima metà del XIX secolo, e un altro fattore planetario, quello della incidenza degli effetti delle eruzioni vulcaniche sull’andamento del clima della Terra. Ecco quindi che dai resoconti di Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, che deve fare fronte alla carestia e all’epidemia di tifo petecchiale che colpiscono Recanati, si passa alla descrizione dell’eruzione esplosiva del vulcano Tambora, che dalla lontana Indonesia oscura il cielo in tutto l’emisfero boreale, provocando in «un anno senza estate» freddo, carestia ed epidemia.


Carta dell’arcipelago indonesiano disegnata nel 1847 dal botanico svizzero Heinrich Zollinger. La parte circoscritta dalla linea continua indica l’area coperta dalla cenere dopo l’esplosione del vulcano Tambora; quella tratteggiata rappresenta l’intera area interessata dal fenomeno eruttivo. Persistenter Link: http://www.e-rara.ch/zut/content/titleinfo/3285073

L’enorme caldera del vulcano Tambora, formatasi a seguito della devastante eruzione esplosiva dell’aprile 1815. Prima dell’esplosione il vulcano era alto 4.300 metri; dopo, persa la cuspide, non superava i 2.850 metri (Google Earth 5 Luglio 2015).

Molto opportunamente l’autore resta ad analizzare ciò che accade ancora in Asia, da dove sempre nel 1817 si prepara un’altra terribile minaccia, il colera, che arriva in Europa negli anni Trenta e colpisce soprattutto attorno alla metà del secolo con code ancora negli anni Ottanta, quando esplode un altro vulcano indonesiano, il Krakatoa. Si hanno le stesse conseguenze nell’emisfero boreale provocate dal Tambora con un calo delle temperature, che interrompe la fase di riscaldamento del clima.


La nuova isola, Anak Krakatau (figlia di Krakatoa), vicino allo stretto della Sonda, nata a causa delle eruzioni del 1927, 1928, 1929 e 1930. Nel riquadro a sinistra l’immagine dell’arcipelago indonesiano (Google Earth, 2020)

Particolare dell’isola e della caldera di Anak Krakatau, dopo la grande eruzione del 22 dicembre 2018 (Google Earth, 2020).

La seconda parte del volume fornisce i dati del «clima misurato», che sono registrati con strumenti perfezionati rispetto a quelli dei primi decenni del XIX secolo. Ecco quindi il diario del recanatese Antonio Bravi che registra i dati meteorologici dal 1852 al 1887, ai quali si affiancano le considerazioni su clima e sanità del medico della stessa città Vincenzo Andrenelli; seguono poi le misurazioni ad Ancona di Luca Zazzini e Francesco De Bosis, direttore del locale osservatorio; poi ancora quelle di Alessandro Procacci direttore dell’osservatorio «Valerio» di Pesaro, quelle di Urbino di Emilio Rosetti, quelle dell’osservatorio di Camerino e infine quelle di Ascoli Piceno.


Recanati: ritratto di Antonio Bravi, autore del manoscritto Diario Meteorologico.
(Per g.c. della Signora Lucia Bravi Montironi)

Diario Meteorologico di Antonio Bravi. Gennaro 1859, anno in cui Bravi iniziò a misurare a Recanati la temperatura, la pressione atmosferica e l’umidità dell’aria.
(Per g.c. della Biblioteca «Clemente Benedettucci» di Recanati)

L’analisi degli studi del Rosetti sulla qualità dell’aria permette a Morici di aprire una digressione su Gregor Mendel, noto come «il padre postumo della genetica», che ha compiuto studi anche sull’inquinamento dell’aria, soprattutto a causa dell’ozono prodotto dalla combustione del carbone «usato per riscaldare le case e alimentare le centrali termiche delle industrie». Per avvalorare i risultati desunti dalla detta documentazione, l’autore cerca conferme negli studi sul clima di due regioni confinanti con le Marche, l’Emilia Romagna e l’Umbria.

I dati raccolti e presentati in vari istogrammi presentano un andamento omogeneo a quello dell’Italia e dell’emisfero boreale, in particolare per il raffreddamento degli anni Ottanta a causa dell’eruzione del Krakatoa. A parte questo evento, il clima del secondo Ottocento va assumendo quei caratteri che sono «propri» delle varie stagioni e che appartengono all’immaginario collettivo tanto da fare dire spesso «non ci sono più le mezze stagioni» o che non ci sono più le stagioni come una volta. Morici in un altro suo studio Almanacco del tempo che fu, primo capitolo del volume
Il clima le acque la terra nella storia delle Marche (co-autori Redo Fusari, Carlo Scuterini, Francesca Morici, Learco Perini) edito dalla Provincia di Macerata nel 2008, ci fornisce una spiegazione attraverso le parole di Giacomo Leopardi, che non fu solo poeta. Anche ai suoi tempi si discuteva dei cambiamenti del clima, così come se ne discuteva anche nel Seicento, e ne dà una spiegazione anche psicologica. Scrive il poeta: «Ma i vecchi [che soffrono il freddo più che in gioventù] credono avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio, ed immaginano che il calore che va scemando in loro, scemi nell’aria o nella terra». E ancora: «Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi sono più», per cui tanti dicono di ricordare che quando erano giovani a Pasqua si indossavano abiti leggeri. A furia di affermare nel corso del tempo che il clima è sempre più freddo «l’Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia».

In realtà il clima è una realtà molto complessa, non valutabile a livello delle sensazioni personali, tant’è vero che esso è legato a ben 190 fattori secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – come riporta opportunamente Morici – per cui la variazione di uno di essi provoca un cambiamento nell’andamento del clima.

Il volume, come già detto, presenta un secondo aspetto interessante, quello di alcuni parallelismi con la realtà attuale. Le relazioni dei sanitari di allora descrivono situazioni molto simili a quelle della attuale pandemia. Essi si sono trovati di fronte a malattie sconosciute quali il tifo e il colera, che hanno cercato di combattere, come si è fatto oggi con il covid, con i rimedi utilizzati in altre patologie.

A volte hanno funzionato, in altre no. Il racconto di queste malattie è collegato alla storia del clima, perché a questo è fatta risalire l’origine del morbo, come nel passato più lontano la si collegava alle congiunture astrali. è vero che i medici condotti del primo Ottocento hanno cominciato a mettere in relazione le epidemie con le condizioni igienico-sanitarie del tempo, quali la ristrettezza e l’umidità degli ambienti domestici, la mancanza della luce del sole nelle strette vie urbane, l’assenza dei servizi igienici nelle case e l’accumulo dei rifiuti nei pressi delle case.

Molto crude sono le descrizioni dei sanitari sulla situazione del 1816-1817 e sulle epidemie di colera. Già i primi studi sul colera mettono in relazione le possibili relazioni della diffusione della malattia con la contaminazione dell’acqua ad opera dei rifiuti umani. Nel XIX secolo pertanto si assiste alla progressiva diffusione della costruzione dei servizi sanitari nelle case [in quelle dei quartieri più vecchi è possibile ancora vedere lo stanzino aggettante costruito sul retro degli edifici, quindi fuori degli appartamenti, collegato ad un pozzo nero] e soprattutto degli acquedotti, che portano prima acqua nelle fontanelle pubbliche dei quartieri e poi direttamente nelle case.


Tavola XI (Batteriologia) presente nel «Manuale dell’Ufficiale Sanitario» di Angelo Celli del 1898. Nella tavola sono illustrati alcuni batteri patogeni e le tecniche colturali. Abbiamo realizzato una legenda non presente nella tavola, con la terminologia usata da Angelo Celli nel testo del Manuale.
https://ia802707.us.archive.org/10/items/manualedelluffi00cellgoog/manualedelluffi00cellgoog.pdf (Google Books).

Legenda

1) e 2) Vibrio cholearea asiaticae (colera); 3) Bacillus tetani (tetano); 4) Bacillus difteariae (difterite); 5) e 6) Bacterium tubecolosis; 7) Colture in gelatina a piatto: colonie più spesse e più regolari di quelle del tifo; 8) Colture piatte in gelatina: colonie superficiali; 9) Colture piatte in agar; 10) Colture in agar a piatto: colonie rotonde con un punto più scuro al centro; 11) Bacterium mallei; 12) Colonie piatte in gelatina; 13) Colture in gelatina a piatto: colonie rotonde. Dal n. 14 a n.19 sono rappresentate colture ad infissione in gelatina e agar.

E’ inevitabile ancora una volta il riferimento alla realtà attuale, con l’ipotesi che l’inquinamento dell’aria veicoli la trasmissione del coronavirus covid. Diverse invece le considerazioni dell’autore sui cambiamenti climatici, che se allora erano da fare risalire ad eventi naturali (le esplosioni vulcaniche) ora sono collegati al riscaldamento globale causato dalle attività umane, che non si vogliono limitare per tutelare gli interessi di poche grandi imprese multinazionali.

Carlo Vernelli

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