Un insolito e gustoso ritratto di papa Pio IX

Ricorrendo in questo 2022 il 230° anno dalla nascita del papa Pio IX,
farà piacere al lettore ricordare un’insolita traccia della sua vita come
descritta da Raffaele De Cesare, che fu scrittore, giornalista, deputato
della destra e senatore del regno dal 1910. È il racconto di una sua
visita, compiuta nel 1895 – quando ormai era morto da tredici anni -,
alla città e alla casa natale del papa: quasi un pellegrinaggio pieno di
devozione ma anche di critica, seppure bonaria, della sua figura. Una
trouvaille storico-letteraria particolarmente gustosa quanto più si
accosta con spirito di viaggiatore alla conoscenza anedottica del
grande personaggio. Insieme a questa, il racconto apre uno squarcio
sulla città di fine ottocento.
(Leonardo Badioli)

Raffaele De Cesare (1845 – 1918)


Nella patria di due Papi
in “Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti”,
vol XII num. 6, Trani-Bari 1895
il primo è Clemente XIV Ganganelli
il secondo è Pio IX

Senigallia, agosto [1895]

Sulla facciata della vecchia casa, dove Pio IX nacque, hanno murata una lapide di marmo, la quale ricorda il giorno e l’anno, in cui il geniale pontefice venne al mondo. Egli nacque il 13 maggio 1792 dal conte Girolamo Mastai Ferretti e dalla contessa Catterina Solazzi. La madre di Pio IX soleva
scrivere il proprio nome con due t ; aveva una mano di scritto affatto maschile, somigliantissima a quella del figlio, e adoperava un’ortografia speciale. Ella fé lieto il marito di otto figliuoli, quattro maschi e quattro femmine. La famiglia contava alcuni secoli di nobiltà di provincia; aveva dato dei gonfalonieri alla città, qualche vescovo, qualche uomo d’arme; ma non esercitò mai sovranità feudale, e disponeva di una discreta agiatezza. La quota ereditaria toccata al Papa, e liquidata dopo la morte di lui, ascese a lire 47.000. Otto anni fa, l’ultima volta che stetti a Senigallia, non vi era lapide sul palazzo, né la via portava il nome del Papa. La lapide fu murata nel 1892, in occasione del primo centenario, e alla via fu dato, dal municipio democratico, il nome di battesimo del Papa. Si chiamò: via Giovanni Mastai; e quella laterale, che va da piazza del Municipio a Piazza del Duomo, si chiamò: via Giordano Bruno. Si potrebbe immaginare una volgarità maggiore? Questi paesi degli antichi Stati papali sono affetti da pregiudizii inverosimili, e da uno spirito democratico così rozzo e superficiale, che credono di aver salvato il mondo, mettendo una lapide di Mazzini accanto ad una di Vittorio Emanuele, o trascurando affatto il nome del Re, o dando a due vie, che si tagliano in croce, i nomi di Pio IX e di Giordano Bruno!

casa Pio IX

Dal 1892 una parte del primo piano del palazzo Mastai è ordinata a museo. Sono sei camere, piene di ricordi personali del defunto Pontefice: ricordi chiusi in vetrine, e ordinati e catalogati con intelligente cura dal conte Bellegarde de Saint-Lary, marito della contessa Cristina Mastai Ferretti, figliola unica del conte Luigi e della principessa Teresa del Drago. Il conte Luigi fu il primogenito del conte Gabriele, fratello maggiore del Papa. Il palazzo appartiene oggi ai conti Bellegarde, i quali vi abitano nel piano di sopra, e permettono che, in alcune ore del giorno, il museo sia visitato dal pubblico. Questo non abbonda, ma non si può dire che scarseggi. Mancano parecchie condizioni essenziali, perché la casa di Pio IX diventi meta di grandi pellegrinaggi, italiani e stranieri. Manca la réclame internazionale; manca il favore del Vaticano, e manca un catalogo illustrato che faccia, per dir così, la piccola storia degli oggetti appartenuti a Pio IX: dalla culla al fucile da caccia; dalle memorie di Spoleto e d’Imola a quelle, più numerose, del pontificato; dagli autografi chiusi in una cassetta, alle porcellane di Sèvres, ai candelabri, alle maioliche italiane, agli anelli stemmati, ai calici, alle medaglie, alle reliquie, ai numerosi quadri, e infine ai ricordi, potrei dire,
più personali di lui: una sua calamariera d’argento, colle le penne d’oca; cappelli, zucchetti, pezzi di gambali, fazzoletti e calze, e infine la cuffia, che coprì la testa del marmocchio, quando venne al mondo. La cappella si conserva come quando Pio IX vi diceva la messa: le stesse ampolline, gli stessi candelieri, le stesse palme, e lo stesso bel quadro del Frangia. L’illustrazione è indispensabile, com’è indispensabile un custode intelligente. Ora gli oggetti si vedono attraverso le vetrine, e in ogni camera c’è un cartello, che dice: La casa di Pio IX è affidata alla cortesia e gentilezza dei visitatori. E la réclame dovrebbe essere aiutata dal Vaticano.

Senigallia è sulla via dei pellegrinaggi internazionali, che hanno in Italia tre grandi mete: Assisi, Loreto e Roma. Pio IX, pontefice a base di sentimento e di genialità, ha lasciato nel cuore dei cattolici del mondo, memorie incancellabili. Nei Diarii Romani di Gregorovius, venuti testè alla luce, in italiano, ho letto
parole, le quali, in bocca di un protestante, mi hanno stupito. Gregorovius era a Roma nel 1869, quando il Papa festeggiò il suo giubileo sacerdotale; e nota nei Diarii le feste che si fecero i doni e gl’indirizzi di devozione, che piovvero da ogni parte del mondo, e il discorso che pronunziò il Pontefice alla deputazione delle provincie romane. Dopo aver rilevato che Pio IX era al colmo della fortuna, Gregorovius scrisse: Gli oltramontani lo adorano come ente sovrumano; la sua futura canonizzazione è certa. Ma Gregorovius non immaginava che il nuovo pontificato non avrebbe veduto di buon occhio le dimostrazioni in favore del Papa defunto, come se queste togliessero importanza a quelle per il Papa vivo. Piccinerie e gelosie anche là, dove non vi dovrebbero essere! Il fatto vero è che il Vaticano cercò di togliere alle feste per il centenario, in Senigallia, ogni importanza, disponendo che si celebrassero, nei dovuti limiti, due anni dopo, a Roma, nella basilica di San Lorenzo. Festeggiare la nascita di qualcuno sulla tomba, che lo chiude, è un caso affatto originale.
Ma la profezia di Gregorovius si avvererà. La corrente in favore di Pio IX si determinerà, con tanta maggior forza, quanto maggiore è stata la compressione, o meglio il lavoro per farla deviare. Senigallia diverrà la meta dei grandi pellegrinaggi mondiali, e questi saranno, come per Loreto e Assisi, una risorsa economica.

Senigallia non è più quella di una volta, dopo l’abolizione della fiera franca. I segni dell’abbandono sono molti ed evidenti. Non nuovi commerci, anzi l’antico commercio del mare ridotto a minimi termini; scemata l’industria della pesca a vantaggio della vicina Fano; non un’industria nuova, oltre la raffineria dello zucchero, che ha una forte concorrenza da quella, così prossima, di Ancona. La città divise, per alcuni anni, con Rimini il vantaggio e l’onore di essere la maggior stazione balneare dell’Adriatico; ed oggi non v’è spiaggia o borgata, da Rimini ad Ancona, e da Ancona a San Benedetto, che non sia divenuta stazione balneare, nel tempo stesso che, per le condizioni economiche generali, il numero dei bagnanti è
in diminuzione. Sono stati costruiti alcuni villini sul mare, ma non trovano compratori; e la fiera, tuttora esistente, è un simulacro della vecchia fiera franca: un simulacro caratteristico, col suo gran velario, che si distende dalla porta della stazione, lungo i portici del canale, al Corso; e i portici trasformati in botteghe, ma, ahimé! queste non contengono più le merci preziose che portavano i veneziani, i greci, i dalmati, i ciprioti e i levantini in genere, nei grandi trabaccoli tradizionali! Oggi sono bazar da villaggio; e di
levantini neppure l’ombra. Quella fiera era un contrabbando autorizzato; durava venti giorni; si apriva e si chiudeva con due colpi di cannone.

Il mio amico Bellegarde è assente, e in campagna è la contessa Cristina, che vedo per un momento, tornando lei dal bagno alla villa. Non posso, come sarebbe mio desiderio, rimanere qualche ora di più nel museo; aprire qualcuno dei tanti album, che appartennero a Pio IX; aprire la cassetta degli autografi, e leggere e trascrivere qualche lettera intima del papa ai suoi fratelli e ai nipoti. Poiché egli ebbe con essi frequente corrispondenza; li chiamava per nome; e i fratelli non chiamavano altrimenti lui che Giammaria, il nome di famiglia. Si racconta che la vecchia contessa Vittoria, moglie del conte Gabriele, essendo andata in Vaticano dopo il 1870, e nascondendosi il Papa dietro una bussola per farle paura, e riderne,
esclamasse, tutta stizzita: «Siete impazzito, Giammaria?»


Chi volesse scrivere una storia anedottica, vera e viva, di Pio IX, dovrebbe venire a Senigallia, e rovistare nel museo e nell’archivio di casa Mastai e di casa Augusti, e interrogare qualche vecchio; e raccoglierebbe un’infinità di particolari circa la vita di questo giovane epilettico, che sino a 26 anni non trovò a far nulla nel mondo, tranne che andare a caccia; far la corte, non senza curiosi scrupoli, a qualche signora; prendere parte alle rappresentazioni dei filodrammatici, e suonale, molto malamente, il violoncello. Si fece prete, quando a Roma non vollero accettarlo come guardia nobile. A ventisette anni disse la prima messa, nella chiesa di Sant’Anna dei Falegnami. Uomo d’impressioni, con una dose d’inconsapevolezza, di mutabilità e di sensibilità muliebre; facile all’ira e facile all’arguzia; desideroso di onori e di fumi; più vano che superbo; generoso e non nepotista; violento e bonario; innamorato della sua persona, della sua voce, magnifica, e delle sue mani, bellissime. Il suo culto per la Madonna ebbe qualche cosa di incomprensibile, e l’accompagnò per tutta la vita. A lui importò meno la perdita del potere temporale, quanto importò
l’essere riuscito a definire il domma, che cercò di eternare col brutto monumento, in Piazza di Spagna, e l’essersi fatto proclamare infallibile, confessando egli stesso, con grande ingenuità: prima di esser Papa credevo nell’infallibilità; ora lo sento. I gesuiti, e soprattutto il padre Piccirillo e il padre Curci, napoletani, i quali avevano il vantaggio di conoscerlo profondamente, svilupparono in lui il senso della vanità, a tal punto, che questa generò l’infallibilità, da lui voluta ad ogni costo.

Tra i ricordi del museo Piano, mi fermò un libriccino ascetico, stampato a Venezia nel 1762, col titolo: Considerazioni sopra la cantica, esposte alle sacre vergini. Appartenne alla madre di Pio IX, la quale sulla pagina bianca del frontespizio interno, scrisse, con la sua speciale ortografia:

Se questo libro si perdesse
e il padron non si sapesse
di mè Catterina Solazzi

versi che mi ricordano quelli dei nostri vecchi collegi, quando scrivevamo
sui libri, ingenuamente:

Se questo libro si perdesse
e il padron non si trovasse,
leggerete il quinto verso
e vedrete chi l’ha perso.

E seguiva il nome del padrone del libro. La vetrina più interessante è nella
camera dove Pio IX nacque. Accanto al letto c’è una piccola lapide, che dice:

Joh. Maria Mastai Ferretti
Pius. IX. Pont. Max.
hic. Ortum. Habuit.
XIII. Mai. MDCCXXXXII.

La camera è ammobiliata come era l’ultima volta, che Pio IX venne a Senigallia, nel 1857, reduce dal suo ultimo viaggio nelle Legazioni e nelle Romagne. Alloggiò in casa sua; dormì in questa camera, in un modesto letto di ferro, che portava con sé, e poi lasciò alla famiglia. È un piccolo letto, coperto di cortine di damasco rosso. E sulla poltrona accanto, serve da poggiatesta un fazzoletto di seta orlato d’oro sul quale è ricamato… un sonetto, scritto in occasione del passaggio di lui per Senigallia, nel febbraio 1833, trasferendosi alla nuova sede d’Imola, consolando di suo passaggio la patria con l’incruento sacrificio. Il poeta fu il priore della confraternita del SS: Sacramento e Croce, Luca Antinori. Dice la prima quartina:

Sacro Pastor, vedi in che ria procella
Par disertato d’ogni luce il cielo;
Deh, presto spunti la tua viva stella
Ove prima addensossi il fatal velo.

Nella prima sala dell’appartamento fermano l’attenzione due quadri, il quali riproducono, uno in seta, e l’altro in carta, il celebre decreto di amnistia che fu la prima spinta del movimento nazionale. Sotto a quello stampato in carte, si legge: «Pio IX mandò dal Vaticano queste parole a consolare i suoi popoli.
I sinigagliesi concittadini le portano ora, con le benedizioni del mondo, nella casa dove egli nacque. Eppure Pio IX allargò e prolungò il porto-canale sul Misa; rifece alcune chiese; restaurò il duomo; fondò il magnifico asilo per i vecchioni, e più avrebbe fatto, se non fosse stato sinigagliese anche lui, e perciò stizzoso verso i suoi concittadini, perché questi non ne lusingavano l’amor proprio, quanto egli avrebbe desiderato, anzi ostentavano una imperdonabile indifferenza, che ancora dura.

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