Dagli iperoggetti a Leopardi e ritorno

Di ritorno dalla tre giorni del Festival Filosofia che Modena Carpi e Sassuolo organizzano e accolgono ormai da diciannove edizioni, il borsone e lo zaino stracolmi di felicità per le tante persone incontrate e delle ordinarie gravezze proprie della riflessione filosofica. “Persona” era, appunto, il tema proposto per quest’anno; ma lo stendino che reggeva gli abiti da indossare nel défilé della parola è stato quasi ininterrottamente quello del post-umano al bivio tra rigenerazione ed estinzione.

Più di un titolo del resto vi riconduceva: “Sopravvivere”, “Cosa resta di noi”, “Che fare quando il mondo è in fiamme” e altri che in qualche modo consentivano l’accesso. Ogni letteratura odierna sembra esserne piena. Sto leggendo appunto, prima di addormentarmi, Macchine come me e persone come voi di Ian McEwan, uno scrittore che da Bambini nel tempo non ho mai perso di vista.

E’ possibile ora che alla lectio magistralis del giovane (post)filosofo Leonardo Caffo, dal titolo “Specie”, sia accorso di preferenza quel pubblico che da qualche tempo ha preso a collocare le limitate convinzioni umane al margine o sotto la cappa dei grandi iperogetti; ma è un fatto che la critica all’antropocentrismo – e al suo sottordine dello specismo – siano oggi presenti all’attenzione generale sotto il nome di Ontologia Orientata agli Oggetti (Harman, Levi Bryant). 

“L’Antropocentrismo – è scritto nella presentazione di Fragile umanità / il postumano contemporaneo (Leonardo Caffo per Einaudi 2017) – è costruito sulla presunta superiorità dell’umano sulle altre forme di vita”, e di esso lo specismo è “il primo asse, forse il più resistente e pericoloso”. Ma proprio in questa presunzione poggia il fondamento distruttivo dell’azione umana: la convinzione della nostra superiorità ci ha reso capaci di distruzione e di autodistruzione; l’accelerazione seguita alla seconda guerra mondiale mostra adesso che ci stiamo riuscendo.

Non si tratta di idee affatto nuove, se non rese più urgenti e necessarie nel loro avverarsi. In più di una lezione, in più di una comunicazione, il pensiero è andato a Giacomo Leopardi; così, tornando a casa mi sono data un compito: rileggere le Operette morali e le altre opere leopardiane alla luce della sua avversione alla centralità umana. L’ho fatto con attenzione così finalizzata e dunque con rinnovata meraviglia, consultando i testi e i commenti curati da Sergio Solmi e aiutandomi con la sintesi online di Alessandro Ialenti I concetti fondamentali del pensiero filosofico di Leopardi. La polemica del poeta filosofo recanatese contro l’antropocentrismo è sarcastico nei Paralipomeni, tematico ne La Ginestra (“non ha natura al seme / dell’uom più stima o cura / che alla formica”), garbatamente parascientifico ne Il Copernico, divertito nel Dialogo di un folletto. 

Qui lo Gnomo che abita sottoterra, inviato speciale del padre Sabazio perché riferisca su quanto vanno combinando gli uomini di sopra, non sa ancora di quanto è accaduto. Glielo dice il Folletto: “Voi gli aspettate invan: son tutti morti”.

“Oh, cotesto è caso da gazzette”, ironizza lo Gnomo. Se però gli uomini si sono estinti nessuno più stamperà gazzette. “Or come faremo a sapere le nuove del mondo?” 

“Che nuove?”, ribatte il Folletto disconfermando l’umorismo dell’interlocutore. Non ci sono più nuove, non più guerre, non più guai. Scomparsi loro sarà la pace santa!

“Ma come sono andati a mancare quei monelli?”

Il Folletto ne indica i motivi: 

“Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un  l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male”. 

La propria natura è appunto quella che determina lo sviare dell’uomo dai suoi veri scopi e il cadere dell’azione umana sotto il proprio peso; non fa menzione il Folletto della causa ambientale, o di quella climatica – che ne sono i successivi cascami: per quanto Leopardi si riveli attento percettore del tempo meteorologico, il pensiero di una ecpyrosis si è spento con gli stoici e, saltandolo, si è riacceso solo in anni a noi vicini, con molte differenze sia eziologiche che teleologiche rispetto all’idea originaria. È Timothy Morton (Iperoggetti, Noi esseri ecologici) oggi a connettere il global warming alla riflessione ontologica verso l’oggetto col considerarlo un iperoggetto

Piacerebbe comunque allo Gnomo leopardiano che due almeno “di quella ciurmaglia” umana risuscitassero, in modo da poter constatare “che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli”. 

E invece, come ognuno sa, il mondo è fatto per i Folletti – afferma il Folletto.

Per gli Gnomi – corregge lo Gnomo.

No, per i Folletti – insiste il Folletto.

No, per gli Gnomi.

Per i Folletti.

Per gli Gnomi.

Forse è meglio – convengono infine – che “ciascuno si rimanga col suo parere, che niuno glielo caverebbe di capo”. 

E’ proprio questo adesso come sempre il problema più complesso: come convincere l’uomo a non essere antropocentrico? Nemmeno la paura lo convincerebbe: basti pensare ai tanti che associano la fine della specie umana alla fine del mondo. Che non ci sarebbe mondo se non ci fossimo più noi. Idiocentrismo radicale.

Soprattutto non si vede al momento che i potenti se ne convincano; tuttavia è nelle nostre capacità convincere offrendo esempi: l’adozione del nuovo paradigma, non solo ottenuta con la forza dell’intelletto ma anche con l’energia che richiede la più forte coerenza, arresterebbe forse la distruzione costante delle condizioni che permettono ancora alla palla azzurra che ci ospita di sostentarci e di tenerci in vita.

Catia Fronzi

“Antropomachia” , Ermanno Tarli, Artista marchigiano

3 thoughts on “Il vapore del padrone

  1. Posso discutere un piccolo particolare?
    Non so cosa significhi “artista locale”.
    Forse locale è un artista conosciuto solo in un determinato luogo,
    E Ermanno Tarli in effetti non è certo conosciuto all over the world.
    O forse locale significa che la rilevanza, la maniera, l’oggetto
    della sua creazione appartengano o si riferiscano a un determinato luogo.
    Anche questo è possibile che sia.
    Permettimi allora di inviare a questa testata così bella e attenta alle arti
    un piccolo port-folio fornito di una narrazione che escluda dall’espressione “locale”
    una connotazione in qualche modo dimensionale o limitativa.

    1. Artista con la “A” maiuscola che nasce in loco, cioè negli stessi luoghi da cui nasce e a cui si riferisce la nostra testata. Non è così? Per coloro che ne hanno la curiosità, compresa me, cerchiamo la biografia di Ermanno Tarli. Raccontiamolo nelle nostre pagine.

  2. Sottolineature da Il Copernico, nelle Operette Morali di Giacomo Leopardi
    [Copernico è contro i filosofi che dichiarano l’uomo re dell’universo, ma il poeta è in un momento di gran vena e trasporta in una sfera mitica il suo sorridente umore sulla presunzione umana (Francesco Flora, 1961. Ma noi oggi ci vediamo molto di più: una premonizione del disastro ambientale e la necessità di un cambio di paradigma che ci guidi a un pensiero non più antropocentrico. Anche se questo – scrive Leopardi, non succederà mai]

    SOLE – Io sono stanco di questo continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi che vivono in un sol pugno di fango tanto piccino, che io, che ho buona vista, non lo arrivo a vedere

    ORA PRIMA – E al freddo come provvederanno? […] non basterà il fuoco di tutte le selve a riscaldarli. Oltre che si morranno anno dalla fame: perché la terra non porterà più i suoi frutti. E così, in capo a pochi anni, si perderà il seme di quei poveri animali…

    SOLE – Che importa questo a me? che, sono io la balia del genere umano; o forse il cuoco, che gli abbia da stagionare e da apprestare i cibi? e che mi debbo curare se certa poca quantità di creature invisibili, lontani da me i milioni delle miglia, non veggono, e non possono reggere al freddo, senza la luce mia? […] io per me non ho bisogno di cosa alcuna dalla Terra, perché io cerchi di lei.

    SOLE – In ogni modo, qui la via più spedita e la più sicura è di trovare un poeta ovvero un filosofo che persuada alla Terra di muoversi

    SOLE – Quali sono poi, alla fine, conteste difficoltà?
    COPERNICO – Primieramente, per grande che sia la potenza della filosofia, non mi assicuro che ella sia grande tanto, da persuadere alla Terra di darsi a correre, in cambio di stare a sedere agiatamente; e darsi ad affaticare, in vece di stare in ozio.

    COPERNICO – Che vi dirò poi degli uomini? che rimutandoci (come ci ripeteremo sempre) più che primi e più che principalissimi tra le creature terrestri; ciascheduno di noi [… si riterrebbe] un imperatore dell’universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, vdi vostra signoria illustrissima [il sole], e di tutte le cose. […] Questo porterà seco che sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar l’impero; restandosene però tuttavia co’ loro cenci, e colle loro miserie, che non sono poche.

    COPERNICO – E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere sanamente, si troveranno essere tutt’altra roba da quello che sono stati fin qui, o che si hanno immaginato di essere.

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