Siamo a Ferragosto; ascoltando i miei amici ho notato ancora una volta che ognuno trascorre le vacanze in un luogo diverso. Sia mare o montagna, in collina o nelle città d’arte, il periodo è generalmente breve; non più di due settimane.

Stranamente quando l’Italia era più povera, molti partivano i primi di luglio e tornavano alla fine di settembre. Non tutti. C’era chi non aveva la possibilità di alcuno spostamento. Rivengono in mente le mie lunghe estati a Senigallia. Una cittadina poggiata sull’Adriatico, con una sabbia bianca e setosa; e con un austero e prezioso centro storico. Mio nonno, con i suoi fratelli, possedeva un grande palazzo, affacciato sulla piazza della Rocca del Valentino. Si pranzava e si cenava tutti assieme. In tanti. Nel 1964, avevo 12 anni, ero diventato un ottimo giocatore di biliardino, di flipper e di ping pong. Scappavo la mattina presto dalla mia adorata bagnina anarchica Stamura, che mi aiutava a mettere a mollo il “moscone”di famiglia. Ore a remare, a nuotare, a vedere il fondo del mare allora cristallino. Gli amici erano persone semplici, evitavo i figli della nobiltà marchigiana, gretta e supponente. Qualche volta in famiglia la sera si giocava a scala quaranta: e mi insegnavano il bridge. Il massimo della mondanità era andare a ballare a “Villa Sorriso”, un locale che ospitava i cantanti del momento. Ricordo una giovanissima Nada, con i ragazzi sotto il palco che guardavano rapiti.

Fin qui nulla di particolare. Un’infanzia privilegiata. L’aspetto che stride davvero con l’oggi erano, nel susseguirsi delle settimane, i lunghissimi intermezzi di silenzi e solitudine. Amavo questi momenti. In essi fece capolino la mia “formazione”. Emergevano pensieri inediti. Rubavo la vecchia “Bianchi” nera di mio nonno. Sul lungomare, dopo l’hotel Excelsior, non c’era più niente. Piccole barche adagiate sul litorale. Una vecchia colonia per bambini poveri. Il vento e il mare. Un odore forte di salsedine. Sullo sfondo, pedalando pedalando, cominciava a vedersi la raffineria di petrolio di Falconara. Quando il cielo era velato, o tendente al brutto, cadevano gli aghi dei pini sulle macchine, tutte con targa tedesca. L’Adriatico l’ho sempre percepito come un mare più misterioso e selvaggio del Mediterraneo. Il Mediterraneo è un mare domestico. La splendida “bacinella” della nostra civiltà. L’Adriatico offre la rincorsa per immaginare e sognare le grandi pianure dell’Est. Altri mondi, altri venti, altri suoni. Sembra incredibile, ma i grandi protagonisti della Rivoluzione russa sono entrati nel mio animo da adolescente, mentre faticavo sulla bicicletta di famiglia, che aveva l’età degli accadimenti sognati.

Le prime curiosità si consolidarono nelle lunghe ore che passavo sulla sdraio a leggere. Con Agatha Christie e Van Dine migliorai nella scrittura. Con Charles Dickens imparai la letteratura che fa vedere le cose, come fosse un fotogramma. Con il manuale del cinema di Carlo Lizzani capii la storia del Dopoguerra italiano. Tuttavia, fu decisiva la dolcissima giornalaia comunista, con l’edicola alla fine del Corso. Compravo “Il Messaggero” e lei mi inseriva dentro gratuitamente “L’Unità”. Come se mi avesse accolto nella “famiglia”; con discrezione e garbo. Cominciai così ad avere confidenza con i grandi: Amendola, Ingrao, Togliatti, Iotti e Longo.

Insomma, le vacanze lunghe dipendono certamente dalle condizioni materiali. Ma anche chi ne ha preferisce l’inebriante mordi e fuggi. E, invece, non sa cosa si perde. Annoiarsi e chiamare a te la fantasia. Rileggere una frase 4-5 volte e fartela diversamente suonare dentro; avere piccoli incontri fatati che ti cambiano la vita.

Goffredo Bettini, “L’Espresso”

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